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A Milano con ”Sakesakesake” la tradizione millenaria del vino di riso giapponese

A Milano con ”Sakesakesake” la tradizione millenaria del vino di riso giapponese

Suona anche bene, Sakesakesake, un suono che ricorda un motivetto da tamburellare o il tema ritmico di qualche antica danza popolare. La Shokokai Japan, Federazione Centrale delle Aziende dell’Industria e del Commercio, ha voluto dare questo nome scoppiettante all’iniziativa presentata a Milano giovedì 25 giugno 2015, nel centralissimo e storico Palazzo delle Stelline, di fronte al Cenacolo Vinciano.

Il sake, vino di riso giapponese, in Italia non ha ancora avuto la fortuna del suo gemello gastronomico, il sushi. Il governo giapponese però, a cominciare dal primo ministro Shinzo Abe, sta cercando da alcuni anni di aiutare i produttori a mettere in luce questo prodotto millenario, che al di fuori del Giappone è ancora un po’ misterioso. E qualcosa in effetti si muove, visto che le esportazioni stanno crescendo, nel periodo che va dal duemila ad oggi, fino a toccare i 115 milioni di yen nel 2014. In Europa è poco conosciuto, ma ad esempio in Francia, paese orgogliosissimo delle sue tradizioni, già iniziano a diffondersi i primi sommelier specializzati, che lo propongono nei ristoranti più celebri, talora in alternativa al vino.

sakesakesake standOltre alla giornata inaugurale, il programma prevedeva una due giorni sui Navigli, il 26 e il 27 giugno, con quattordici locali tipici impegnati a presentare cocktail ed abbinamenti sfiziosi. Rimanendo in tema, il secondo filone della manifestazione riguardava proprio il tema sake-con-sorpresa: a Palazzo delle Stelline, dal 28 giugno al 3 luglio, alle 17,00, si offriva alla città il binomio Sake/Parmigiano, ed a seguire sake con salumi, uova, mandorle, caviale e persino cioccolato.

Yoshifumi Ishizawa al centro e Guido Gabaldi a destraIl Presidente di Shokokai, Yoshifumi Ishizawa, ha spiegato ai presenti che il sake non è assimilabile ad una birra e neanche ad un distillato. Il processo produttivo, a voler proprio fare un raffronto, ricorda un po’ quello del vino. Il riso, levigato per eliminare le parti più esterne, viene lasciato in ammollo in acqua e poi cotto al vapore. A questo punto si aggiunge una muffa (Aspergillus Oryzae), per saccarificare gli amidi del riso, e dopo la trasformazione ancora acqua e fermenti per convertire gli zuccheri in alcol. Dopo un ulteriore periodo di fermentazione, variabile da produttore a produttore, il composto viene spremuto e lasciato riposare per circa sei mesi, prima di essere imbottigliato. Il tenore alcolico in genere varia dai venti ai sedici gradi.

Approfittiamo della gentilezza del Presidente Ishizawa per un’intervista, concessa in esclusiva ad “EventiDOP.com”.

Presidente, perché il sake dovrebbe piacere agli italiani?
Abbiamo tante cose in comune, a cominciare da una tradizione culinaria eccelsa. Vorrei solo ricordare che l’UNESCO ha recentemente inserito la cucina giapponese nel patrimonio culturale dell’umanità. E nella lavorazione del riso, che diventa sake, si riflette la cultura e la passionalità dell’anima giapponese, proprio come nella lavorazione dell’uva, che diventa vino.

Ci sono altri paesi, al di fuori del Giappone, dove il sake ha successo?
Non è molto tempo che il Governo giapponese e Shokokai si stanno impegnando a sostenere le esportazioni, e sappiamo che abbiamo molta strada da fare. I risultati ci incoraggiano. In Francia, ad esempio, il nostro “vino di riso” è piuttosto conosciuto poiché abbiamo cominciato per tempo a pubblicizzare i nostri prodotti. In pochi sanno che esistono tante sfumature, tanti gusti diversi, dal secco al dolce e dal profumato al neutro, in modo da supportare degnamente le creazioni degli chef più esigenti. Per dimostrarlo siamo qui con trentatré piccoli produttori, che mettono il cuore in quello che fanno, e cinquanta etichette, corrispondenti a cinquanta sapori singolari e irripetibili.

sakesakesake bottiglie

In Giappone il sake è ancora ai primi posti della classifica?
No, subisce la concorrenza delle specialità importate dall’estero, e difatti il mercato interno è in calo dagli anni novanta. I produttori, spesso aziende familiari con secoli di esperienza alle spalle, stanno cercando di adattarsi alle richieste dei consumatori, specie quelli più giovani. Ad esempio, alcuni tipi di sake avevano per tradizione un aroma molto forte, e si è cercato di attenuarlo per renderlo più appetibile. Il mercato ha anche mostrato di gradire un sake meno alcolico, assimilabile ad un vino bianco, ed anche qui qualche passo è stato fatto. Se le esigenze cambiano chi produce deve farsene carico, in qualche modo: credo che il giusto approccio sia questo.

Il Governo giapponese e Shokokai pensano di insistere, in Italia?
Se è per questo il nostro scenario di riferimento è l’Europa, ma in altre importanti città italiane replicheremo l’iniziativa. Il sake aiuta a rilassarsi e a combattere lo stress, e poi forma una coppia magnifica con le vostre meraviglie, come i vari formaggi e prosciutti di diversa stagionatura. Ad ognuno il suo sake. Se queste sono le premesse, perché non dovremmo insistere?

Yoshifumi Ishizawa non è certo un giovanotto, ma dà a vedere una sicurezza ed uno slancio contagiosi, che si potrebbero apprezzare in un ventenne. Visto che, come dice lui, cultura italiana e giapponese hanno tanto in comune, lo salutiamo brindando con un cocktail raffinatissimo, che associa il sake alle bacche di ginepro: non proprio una cosina che si possa bere tutti i giorni, e al bar dietro l’angolo.

Perché tradizione e innovazione devono allearsi per poter affrontare i mercati, come il Presidente ci ha ben ricordato.

Guido Gabaldi
guiandrosa@gmail.com

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