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Albiera Antinori: tradizione, passione e intuizione per il vino

Albiera Antinori: tradizione, passione e intuizione per il vino

Da diversi anni ormai il tocco femminile è meritatamente presente in ogni settore, in politica, nell’imprenditoria, nell’artigianato. Sempre più spesso aziende di fama mondiale e rappresentative del nostro Paese sono guidate brillantemente da donne intraprendenti e all’avanguardia. Anche nel settore vitivinicolo ho potuto constatare, partecipando a manifestazioni o visitando nuove cantine, la presenza di ammirevole “donne del vino”, donne cioè che hanno preso le redini di una realtà tramandata da generazioni o donne che dal nulla hanno dato alla luce la propria personale cantina.

Da appassionata bevitrice come ormai mi piace etichettarmi e come appartenente alla categoria, non posso non soffermarmi ed esaltare una di queste Signore del vino che insieme alle sue sorelle sta affiancando il capostipite di una famiglia storica, mixando innovazione e tradizione, senso di appartenenza e grintosa ricerca del nuovo… tutto servito con innata eleganza; questo è molto di più va attribuito a ALBIERA ANTINORI.

Nonostante i mille impegni di madre e donna imprenditrice Albiera ci ha concesso un’interessante intervista che rispetta la mia prerogativa: fornire ai lettori aspetti umani personali e interiori che avvicinano alla persona, e permettono di comprendere quello che si nasconde dietro al lavoro finito, al prodotto che noi degustiamo. Conoscere meglio Albiera vuol dire comprendere la passione e le motivazioni che hanno reso realtà idee e sogni; ecco perché le poche domande che seguiranno saranno utili e preziose.

La sua famiglia si dedica alla produzione di vino da più di 600 anni, da quando Giovanni di Piero Antinori entrò a far parte dell’Arte fiorentina dei Vinattieri, nel lontano 1385. Una missione che si tramanda da 26 generazioni; oggi l’azienda è diretta da suo padre con il supporto suo e delle sue sorelle; la sua dedizione e il suo impegno sono alimentati più da un forte senso di appartenenza o dal senso del dovere, nel voler continuare il lavoro dell’azienda di famiglia?
La terra e le vigne sono una realtà che ho vissuto fin da piccola e che fanno parte di un vivere quotidiano. Non c’è stato un vero e proprio momento in cui ho iniziato ad occuparmi dell’azienda di famiglia, è stato un qualcosa che è avvenuto in maniera molto naturale. Quindi è difficile dire quale variabile abbia avuto più peso, anche se certamente la passione per la campagna, per il vino e la vite hanno avuto un ruolo fondamentale.

“Tradizione passione e intuizione” sono da sempre le qualità trainanti che hanno permesso ai Marchesi Antinori di affermarsi tra i principali produttori italiani di vino, gestendo l’attività con scelte innovative, mantenendo sempre categoricamente inalterato il rispetto per le tradizioni e per il territorio. Come ha affermato suo padre “Le antiche radici giocano un ruolo importante nella nostra filosofia, ma non hanno mai inibito il nostro spirito innovativo”; come giovane donna che riveste un ruolo chiave nel management aziendale può confermare questo connubio o ha dovuto in certe occasioni rinunciare alla realizzazione di idee e progetti eccessivamente innovativi? Se sì, potrebbe raccontarci un episodio?
Nelle aziende ogni tanto è gioco-forza dover rinunciare a qualche progetto troppo innovativo, o non adatto al momento in cui è stato pensato, ma fa parte della vita aziendale. L’equilibrio tra tradizione e innovazione è stato, è e sarà il nostro leit motif : la tradizione è fondamentale se serve da base per la proiezione nel futuro. La passione serve da ‘benzina’ per far girare la ruota del tempo.

Tra i progetti davvero innovativi che portano la sua firma c’è la cantina inaugurata a ottobre del 2012, unica nel suo genere, progettata dall’architetto Marco Casamonti sulla base dello stile contemporaneo il cui dogma e appunto “lasciare un segno senza distruggere il paesaggio”; come le è venuta l’idea di stravolgere il concetto canonico di cantina, mantenendosi nei limiti nella tradizione? Qual è lo scopo di fondo che le ha permesso di realizzare questa visione alternativa astratta?
In realtà il concetto di CANTINA non è stato stravolto: anticamente le cantine erano sempre interrate, in genere sottostanti a ville o fattorie, proprio per sfruttare l’isolamento termico del sottosuolo. Il criterio che ci ha guidato è stato quello del rispetto dell’ambiente e del paesaggio, seguendo l’esempio dei nostri antenati che hanno saputo modellare ed abbellire le nostre colline toscane. L’esigenza di non voler stravolgere il paesaggio del Chianti Classico, terra a cui la mia famiglia è profondamente legata da sempre, ha trovato la sua realizzazione materiale attraverso il progetto dell’architetto fiorentino Marco Casamonti, fondatore dello studio Archea Associati. Un progetto architettonico di integrazione con il paesaggio unico nel suo genere che perfettamente ha interpretato le nostre esigenze e che è stato da noi accolto all’unanimità con entusiasmo sin dall’inizio.

Durante le ultime manifestazioni locali e nazionali dedicati alle innovazioni nel settore vinicolo, molta importanza ha assunto l’attenzione dei produttori per l’etichetta e il packaging: personalmente condivide questa nuova tendenza di marketing? Quanto conta per lei l’impatto visivo della singola bottiglia o del marchio rappresentativo di una cantina?
Il packaging è senza dubbio uno degli elementi di successo di un vino, anche se non l’unico. In fondo una bottiglia nella sua ‘esteriorità’ deve riuscire a comunicare al consumatore la tipologia di vino e la sua origine. La visibilità del marchio, coniugata alla qualità del prodotto ed alla sua distribuzione sono elementi del marketing che come un puzzle compongono il valore del marchio stesso. A questo bisogna aggiungere tutti quei rapporti personali con clienti, consumatori e opinion leader che chiudono un cerchio virtuoso.

Sempre tornando alla “cantina innovativa”, la bottiglia realizzata in occasione della inaugurazione era essenziale, minimalista, con uno stile quasi orientale: quale era il messaggio che ha voluto esprimere? Essenzialità intesa come semplicità e ritorno al tema della tradizione?
’L’etichetta fatta per l’inaugurazione della cantina riprendeva il disegno stilizzato della cantina, ed era proprio un modo per evidenziare la semplicità, l’eleganza e l’occasione specifica.

La valorizzazione di nuovi terroir affiancati al patrimonio storico della famiglia (Toscana-Umbria), insieme agli esperimenti nei vigneti e in cantine sono strategie volte alla ricerca di margini qualitativi sempre più elevati. La missione della sua famiglia come ha affermato suo padre è infatti quella di “conciliare il nuovo che rimane da scoprire con il patrimonio del gusto toscano….” I risultati ottenuti lasciano sicuramente un segno tra gli operatori del settore, ma la continua ricerca del nuovo e del meglio non rischia di annebbiare le origini che caratterizzano il nome della sua azienda? Come riuscite a conciliare la ricerca con il mantenimento della tradizione?
Sono convinta che oggigiorno, con l’innovazione, riusciamo a fare prodotti senz’altro migliori rispetto a quelli che faceva il mio bisnonno o trisnonno grazie all’applicazione della tecnologia. Penso alle attrezzature che si utilizzano nella vinificazione e ad una nuova e più avanzata concezione della gestione del vigneto. Detto questo non si può però trascurare l’importanza della tradizione. Io credo che i valori che si sono tramandati per secoli, di generazione in generazione, non sono competenze che si possono imparare a scuola, ma fanno parte del nostro DNA. Mi riferisco all’amore per la terra e alla passione per ciò che facciamo ed anche alla pazienza, perché nel nostro settore una caratteristica indispensabile è proprio la pazienza, pianti un vigneto oggi e devi aspettare anche dieci anni per avere il risultato sperato, prima che il prodotto sia qualificato. Nel campo agricolo ci possono essere eventi meteorologici che rovinano il raccolto di quell’anno per cui devi aspettare il raccolto successivo; tutti questi valori come la perseveranza e un po’ di cocciutaggine sono indispensabili perché a volte si rischia di scoraggiarci quando, ad esempio, ci si trova a dover affrontare più annate non favorevoli, una di seguito all’altra. Questi valori derivano dall’avere una lunga tradizione. Ma la tradizione non è sufficiente: ci vuole anche spirito innovativo. Esistono poi dei vini, soprattutto quelli a base di varietà autoctone (il sangiovese in Toscana, il nebbiolo in Piemonte) che da sempre hanno delle caratteristiche uniche, e quei vini dovranno sempre riflettere le tipicità che ci arriva dalla tradizione, magari migliorate o meglio espresse, tramite l’uso di nuove tecnologie. Esistono d’altro canto dei vini fatti con varietà non autoctone su cui si può intervenire con la ricerca di stili diversi che metteranno in luce altri aspetti. Le due anime possono facilmente convivere senza togliere niente ad alcuna.

In un’intervista lei ha dichiarato che “il vino dovrebbe essere tondo salvo poi avere alcuni spigoli che ti colpiscono”; può fare qualche esempio di “spigolosità” ? Ci può citare alcuni vini “spigolosi” della sua azienda o di altre cantine italiane?

Il vino ‘tondo’ è un vino che ti riempie la bocca, che ti dà soddisfazione, ma al tempo stesso deve avere anche una spina dorsale, un qualcosa che dura a lungo e che ti rimane come un bel ricordo. Non so se spigolosità è la parola più adatta a descrivere questo, più ‘carattere’ e ’materia’. Penso al Tignanello, con una spina dorsale energica, saporito ma al tempo stesso rotondo in bocca.

Nelle nostre interviste ci soffermiamo spesso sul fattore “emozionale”, soprattutto quando abbiamo il piacere di poter intervistare persone cresciute in famiglie che hanno fatto del vino il proprio mondo. Che emozioni prova quando, assapora un “suo “ vino?
Bere un vino, a prescindere dal fatto che sia “mio” o di altri produttori, dà sempre un’emozione, mi dà la possibilità di conoscere i sapori della sua zona di produzione e il pensiero di chi lo ha prodotto e questo è sempre affascinante. In particolare, quando mi capita di assaggiare vini di altri produttori, trovo sempre molto interessante e stimolante sentire approcci diversi dal nostro, nuove culture e sapori.

Contraffazione… un male sempre presente e che provoca enormi danni sia economici che d’immagine. Secondo lei quali sono i modi migliori, non solo di combatterlo, ma di estirparlo alla radice e la sua famiglia in quali misure utilizza per fronteggiare il pericolo?
Il vino negli ultimi anni ha attirato grande attenzione dal pubblico, e in certi casi e diventato un “bene di lusso”, e come tutti i beni di lusso corre il rischio che qualcuno si approfitti cercando facili guadagni. Non è facile impedire la contraffazione poiché è un atto criminale. Esistono sul mercato tanti modi di tracciare le bottiglie, di marcarle in maniera invisibile, ma il rischio comunque rimane. Noi abbiamo per alcune etichette che potrebbero essere più soggette a queste azioni, delle security sia tecnologiche che visibili sulla bottiglia (embossing), e stiamo molto attenti alla qualità della catena distributiva.

Crisi… la cosiddetta crisi sta colpendo tutti i settori economici del Paese e crescono le vendite di vini a basso costo pur avendo una scarsa qualità del prodotto. Secondo lei quanto incide la crisi nel mercato vinicolo e come è possibile mantenere un elevato livello di qualità pur avendo un aumento dei costi di produzione e una diminuzione delle vendite?
Se guardiamo al trend degli ultimi 50 anni, il consumo pro-capite del vino in Italia si è dimezzato: si beve meno, ma si beve decisamente meglio. In altri termini il mercato del vino di qualità non è, anche in Italia, in sofferenza come altri settori. Per quanto riguarda la nostra azienda, negli anni abbiamo sempre lavorato sulla distribuzione e sulla qualità del prodotto. Ci sono momenti in cui la crisi in certi mercati è molto pesante, ma in altri lo è meno. L’essere quindi presenti in tanti Paesi, aver intrapreso negli anni passati la strada dell’esportazione, ci ha aiutato ad affrontare la recessione italiana ed europea. E soprattutto, negli anni abbiamo sempre puntato sull’immagine e la qualità dei prodotti, che ci hanno permesso di non dover rientrare nella battaglia del prezzo. Questo ci ha posto a riparo da problematiche più pressanti.

Da donna e bevitrice consapevolmente appassionata ringrazio Albiera per tutto ciò che è riuscita a realizzare in un settore così importante, per quello che sicuramente te riuscirà ancora a fare e per il tempo che ci ha dedicato.

Albiera Antinori dedica ogni giorno gran parte della sua attività al vino dando un grosso contributo al suo sviluppo e quindi meriterebbe uno spazio mediatico maggiore, ma l’assaggio è quello che dà il via alla “bevuta”, e sicuramente questa breve intervista ci ha permesso di chiacchierare amichevolmente con una vera Signora del vino addentrandoci insieme a lei tra gli archetti del suo stesso vino!

Dania Marcelli

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