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Fabio Amedoro: diventare Chef ti cambia la vita

Fabio Amedoro: diventare Chef ti cambia la vita

Fabio Amedoro è 25 anni fa nato a Camerino, in provincia di Macerata ma ha sempre vissuto a Milano. Diplomato all’Istituto Tecnico ha iniziato a lavorare con passione in cucina dopo aver frequentato un corso base presso l’Università dei Sapori di Perugia.

Dopo uno stage in un albergo in Umbria, continua i suoi studi presso l’ALMA la prestigiosa Scuola di Alta Cucina di Gualtiero Marchesi a Parma.

Dopo un stage presso il ristorante Orso Grigio con lo chef Cristian Bertol (1 stella Michelin) e un altro presso presso il Ristorante Villa Maiella con lo chef Peppino Tinari (1 stella Michelin), apre a Milano il Ristorante Meat Art che ancora gestisce con successo.


Come e quando hai deciso di intraprendere la carriera da chef?
Fin da piccolo mi è sempre piaciuto cucinare, ma non avevo mai considerato questa strada. La passione per la cucina è arrivata all’improvviso, come un istinto che sai di dover seguire, andando contro le aspettative di tutti gli altri.

Ho finito le superiori, diplomandomi in cinema e televisione, a quel punto avrei dovuto scegliere in cosa continuare, fare l’università? Sapevo che non faceva per me.

Allora un giorno sono andato da mia mamma e le ho detto “Io voglio diventare chef”. Lei non mi ha mai ostacolato, ha capito che il mio non era uno sfizio momentaneo e mi ha aiutato in tutte le tappe del mio percorso. E da lì è iniziato tutto.

Sapevo che non sarebbe stato semplice ma, ho sempre avuto la mia famiglia dalla mia parte.

Il primo passo è stato quello di cercare una scuola in cui mi venisse rilasciato il diploma di alberghiero, perché come dicevo, ho conseguito il diploma di istituto tecnico.

Mi sono, quindi, trasferito a Perugia dove ho frequentato l’Università dei Sapori, mi sono diplomato e da qui è iniziato il mio percorso.

Sono stati anni molto duri, di grandi sacrifici, ma ricchi di tante soddisfazioni.

Per specializzarmi, ho fatto esperienza in diversi ristoranti, ho cambiato varie città, rinunciando alle uscite e ai momenti di spensieratezza tipici della mia età, e poi ho deciso di iscrivermi all’ALMA, la scuola di Alta Cucina di Gualtiero Marchesi a Parma.

Anche in questa occasione, non sono mancati i momenti di stress e difficoltà, ma devo dire che la mia grande passione è riuscita a superare tutto.

Dell’anno trascorso all’ALMA ho tanti bei ricordi, come la partecipazione a un concorso di cucina creativa con ingrediente l’olio Evo, l’esperienza trentina nel ristorante stellato l’Orso Grigio, la partecipazione ad eventi di show cooking e tanto altro.

Dopo questa esperienza, ho lavorato per circa 3 anni in Abruzzo nel ristorante stellato Villa Majella, ma ad un certo punto ho deciso che volevo tornare a Milano e aprire un mio ristorante…ed è qui che nasce Meat Art!

Come mai un locale cosi particolare?
Milano è piena di locali, ristoranti di tutti i tipi. Secondo me quando si decide di aprire un locale si deve fare due conti sulle proprie possibilità e cercare di tirare fuori il potenziale massimo da quello che si ha.

Io sono partito dal prendere in gestione un locale dal basso potenziale, senza cucina, che aveva cambiato tantissime gestioni e in una zona non molto frequentata.

Non avrei mai potuto aprire il classico ristorante in cui avevo lavorato fino al giorno prima. Ed è a questo punto che ho iniziato ad analizzare il mercato e a capire che a Milano la specializzazione è un punto di forza per emergere tra tanti.

Non conoscevo nessun ristorante specializzato in tartare, quindi ho pensato che potesse essere un’idea innovativa. Ho fatto diventare i punti di debolezza del mio locale i suoi punti di forza: una cucina fresca, veloce, sana, resa più particolare dai miei studi e conoscenze.

Utilizzi la carne cruda come ingrediente principale, hai trovato difficoltà con la clientela?
Ero abbastanza spaventato dalla reazione della clientela, ma anche in questo caso ho pensato a come proporre in modo diverso un piatto che poteva non incontrare i gusti di tutti e che forse non rientra esattamente nella nostra cultura: la carne cruda.

Ho quindi proposto in modo diverso la classica tartare che si presenta come una pallina di carne cruda tritata, l’ho “scomposta” e accompagnata a diversi ingredienti particolari, in modo da renderla più piacevole anche alla vista. E devo dire che in questo modo ho incontrato la soddisfazione della clientela.

Certo, spesso ho ancora clienti che non amano la carne cruda, ma la mia sfida rimane sempre far capire loro che è solo un pregiudizio. A questi clienti consiglio di prendere un altro piatto del menu, ma offro sempre anche un assaggio di tartare che di solito li convince a prenderne una intera.

Sei uno chef giovane ma di talento, hai qualche consiglio per chi volesse seguire i tuoi passi?
Sembrerà banale, ma il mio consiglio è quello di seguire le proprie passioni, senza farsi spaventare dal pregiudizio che spesso c’è dietro a questo mestiere. Il lavoro ci occupa gran parte del nostro tempo ed è fondamentale che ci soddisfi pienamente.

Consiglio però di rifletterci molto bene perché è una scelta che ti cambia la vita, ti mette alla prova e ti porta a tanti sacrifici e rinunce. Durante il mio percorso ho visto tante persone perdersi perché forse avevano deciso di diventare chef, seguendo la “moda” del momento.

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