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I vini da selvaggina

I vini da selvaggina

Si ricomincia! E’ trascorsa un’altra estate e ci avviamo ad un autunno che ci riporta i profumi di sottobosco, di castagne, ma soprattutto di mosto e cantina. Con la stagione calda, il nostro piacere a tavola è stato limitato a piatti leggeri, accompagnati da vini di moderata gradazione alcolica, preferibilmente bianchi, poco strutturati.

L’arrivo dell’autunno che ci preannuncia la stagione fredda, invoglia a cercare pietanze di corpo, con sughi di ragù e secondi di carne. In alcuni casi, ci ritroviamo a tavola con il desiderio di gustare la cosiddetta selvaggina. Ottima, ricercata, ma dal gusto un po’ particolare e la scelta deve essere mirata.

Intanto, la prima cosa da sapere, è che la selvaggina si distingue in selvaggina (o cacciagione) da piuma, da pelo e acquatica. La prima riguarda i fagiani, quaglie, piccioni, nel centro Italia molto utilizzati, e altre tipologie di volatili, mentre la cacciagione da pelo è relativa a cinghiali, camosci, cervi, conigli selvatici, lepri e così via. Per quella acquatica l’esempio è l’anatra. La cacciagione non piace a tutti. La carne é di colore generalmente scuro, dal sapore forte e persistente, caratteristiche dovute all’habitat in cui vivono e crescono gli animali.

Infatti, per alleggerire le caratteristiche selvatiche della carne, sono sottoposte a quella pratica culinaria chiamata “marinatura” dove le stesse vengono immerse in un composto di vino o aceto e spezie, oltre ad aromi, acquistando proprio per questa procedura un gusto deciso.

In particolare, la selvaggina da piuma, viene utilizzata anche per i paté, dove trovano la loro massima espressione su delle gustose tartine o in comode terrine. La carne della selvaggina, se cucinata al forno o arrosto, non va cotta moltissimo e va lasciata molto succulenta. Il vino da abbinare a questi piatti deve tenere conto di tutte le caratteristiche che ha la carne, ma soprattutto alla sua preparazione. La speziatura e marinatura devono essere contrastate da vini ad alta intensità gusto olfattiva e la succulenza da una buona tannicità. Le carni non sono particolarmente grasse, in quanto la cacciagione vive in ambienti aperti e quindi, proprio per la vita che fa, la loro carne risulta abbastanza magra, quindi usiamo vini di moderata acidità. Si preferiscono, pertanto, rossi importanti e di buona struttura.

Per la selvaggina da pelo, quale cinghiale arrosto ad esempio, un buon Chianti Classico Riserva di non giovane età va bene, da unire anche se la carne è in salmì. Bene anche un Sangiovese di Romagna o un Cabernet Sauvignon. Se parliamo di selvaggina da piuma, abbiniamo vini più intensi di quella da pelo, quindi uniamo del Barolo, Sagrantino di Montefalco o Carmignano. Discorso a parte per il paté di fegato d’oca o altre preparazioni simili, in quanto vanno unite a dei vini passiti o “muffati”, perché hanno una persistenza e grassezza tale che solo dei vini di alta gradazione alcolica (per la grassezza) e di alta intensità e durata aromatica, possono abbinarsi a questi gustosi piatti. La selvaggina acquatica viene di solito preparata insieme a salse o farcita, quindi possiamo unire un Lagrein dell’Alto Adige, come un Torgiano Rosso o un Merlot corposo. Nell’orizzonte dei vini, è difficile districarsi, ma è buona regola adeguarsi alla regione da cui provengono le carni. Ad esempio, cinghiale della zona del Montalcino, un buon Brunello di età avanzata è sicuramente un compagno ideale, specie se fa parte della preparazione gastronomica.

In conclusione, la selvaggina è una preparazione a cui va dedicata particolare cura ed attenzione, e all’abbinamento del vino deve essere rivolta pari considerazione. Sbagliare questa unione di gusto, viste le forti sensazioni organolettiche a confronto, possono portare all’esaltazione della preparazione gastronomica, ma anche alla sua rovina!

Ennio Baccianella

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