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Identità Golose 2018: Il Fattore Umano

Identità Golose 2018: Il Fattore Umano

Qual è l’ingrediente che tutti vorremmo trovare nel piatto quando ci rechiamo al ristorante, quando ordiniamo una pizza a domicilio,  quando chiediamo un taglio particolare al macellaio? Se non siamo stati contagiati dalla mania dell’esotico o del nuovo a tutti costi, forse ci verrà in mente un ingrediente immateriale: si tratta della professionalità del nostro interlocutore, del  fattore umano contenuto nella risposta alla nostra richiesta. E proprio “Il fattore umano” è stato il filo conduttore della quattordicesima edizione di Identità Golose, a Milano dal 3 al 5 Marzo, vale a dire l’importanza delle relazioni e del gioco di squadra, nel campo della ristorazione, in luogo della solita glorificazione del solito ego del solito chef-star.
Il tema 2018, prescelto dall’ideatore della manifestazione, Paolo Marchi, attraversa silenziosamente le lezioni, le conferenze, le degustazioni e i cooking-show di quest’anno, come Identità naturali, con Daniela Cicioni e Simone Salvini;  Identità di Champagne, con Viviana Varese e Antonia Klugmann; il Fattore Umano, con Davide Oldani,  Massimiliano e Raffaele Alajmo; Identità di pasta, con Carlo Cracco, Cristiano Tomei e Massimo Bottura. Ma sarebbe impossibile citare ordinatamente tutte le occasioni d’incontro e i momenti di stupore che la kermesse gastronomica ha saputo offrire quest’anno, anche per il tramite di Identità di Libri, un palinsesto ricco di presentazioni e dibattiti, una finestra aperta sul mondo in fermento dell’editoria enogastronomica.   Identità di formaggio, una delle lezioni/degustazioni della quattordicesima edizione, è stata affidata a tre protagonisti dell’alta ristorazione come Andrea Aprea,  Franco Pepe e Cristina Bowerman. Ed è stata proprio quest’ultima, con un pizzico di emozione, ad aprire la sessione con una pietanza d’ispirazione francese, un 3C (corallo, caviale e capasanta) a cui aggiungere la quarta componente con la stessa iniziale, il cavolfiore. Un equilibrio di sapori intensi e delicati, strapaesani e transalpini, che possono essere armonizzati solo da una testa pensante come quella di Cristina Bowerman,  da me intervistata in esclusiva per EventiDOP.

Oggi l’ispirazione poteva essere francese, almeno in parte, ma chi come lei è nato a Cerignola (FG) non dimentica la Puglia, giusto?
Certo, anche se la mia cucina è tutt’altro che pugliese qualcosa me la trascino ancora dietro.  Qualche volta mi capita ancora di preparare i torchi (spaghetti piuttosto spessi) col coniglio, e il caciocavallo nostrano è tra i miei formaggi preferiti. La mia terra, insomma, mi porta a prediligere i gusti decisi, non amo il “suggerito”: se tratto un ingrediente come le cime di rapa si deve sentire, non può restare inespresso.
E delle altre nazioni in cui ha lavorato, quali tipicità le sono rimaste nel cuore?
Se parliamo del sud degli Stati Uniti, dove ho vissuto per qualche tempo,  ho imparato molto dal loro modo di cucinare la carne alla brace, e di usare ingredienti importantissimi come coriandolo, lime, mais, avocado.  Ma, molto più dei cibi, è la libertà degli americani in cucina che continua a ispirarmi: la regola è che non ci sono regole, tutto va sottomesso alla creatività di chi prepara.
Cristina, il filo conduttore di quest’anno è  “Il fattore umano”. Se le chiedessero di scegliere il tema per il 2019, che risposta darebbe?
Sarei imbarazzata, francamente. Vorrei rispondere, istintivamente, che è la condizione femminile a meritare le luci della ribalta, visto che nel mio campo e in qualsiasi altro ambito lavorativo le donne sono pagate e considerate meno degli uomini. Ma è mai possibile che un argomento come questo costituisca l’impalcatura ideale di un congresso di chef?

Perché no, dico io? Se una laureata in giurisprudenza, come Cristina Bowerman, può abbandonare la toga, prendersi una stella Michelin e girare il mondo per comunicare la sua idea di libertà in cucina,  perché non si dovrebbe ascoltarla anche quando alza la voce per far porsi come donna che rivendica la differenza di genere? In un settore economico dove i rapporti di potere possono essere spietati, come quello della sala e della cucina, c’è qualcosa di più urgente? La domanda va indirizzata seriamente a tutti, giornalisti, sponsor, chef e maîtres, affinché tutte le dichiarazioni solenni sul declino del superego degli chef-star, sulla riscoperta del gioco di squadra, sulla centralità dell’atmosfera conviviale nei ristoranti, non rimangano mere banalità congressuali; affinché il “Fattore Umano” predicato a Identità Golose possa trionfare in cucina e in sala,  impregnando di umanità tutto ciò che rischia di diventare disumano.

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