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Il grande Porto. Quando l’identità del vino passa attraverso la sua storia (seconda parte)

Il grande Porto. Quando l’identità del  vino passa attraverso la sua storia (seconda parte)

Se il XVIII secolo fu un crescendo senza tanti intoppi, il XIX fu piuttosto turbolento inaugurato dalla guerra d’indipendenza e l’arrivo a Lisbona dell’esercito di Napoleone. Per tre anni il commercio dei vini di Porto si fermò completamente, gli esportatori britannici lasciarono il paese ed affidarono le loro aziende a terzi, fino al 1811. A questo seguì la guerra civile nota anche come la “guerra dei due fratelli” combattuta tra il re Miguel, usurpatore del trono nel 1828, e i liberali che sostenevano il fratello Pedro, ex imperatore del Brasile. Il commerciò prosegui ma non senza disagi soprattutto durante l’occupazione di Porto nel 1832.

La fine della guerra civile segna uno dei più grandi periodi di espansione del commercio del vino. La pratica della fortificazione era ormai riconosciuta da tutti, l’interesse generale cresce soprattutto verso i nuovi Porto invecchiati, i Vintage, con annate come il 1863 e il 1868 che sono considerate leggendarie.

fillossera della viteA conclusione di questo secolo non proprio felice arriva la fillossera che porta con sé una triste devastazione a partire dalla parte orientale della regione. I rendimenti diminuiscono i prezzi aumentano. I tempi lunghi a trovare una soluzione segnano un duro colpo. Ancora oggi i “mortorio”, rovine dei terrazzamenti abbandonati e mai più reimpiantati, sono visibile monumento al periodo. Solo nel 1865, con l’instaurazione del regime liberale di commercializzazione che amplia la linea di demarcazione dei confini produttivi restrittivi delle misure adottate da Pombal, si permette la rapida espansione del vigneto nella zona del Douro Superior in cui la fillossera è arrivata più tardi ed è stata meno dannosa (a questo si aggiunga la grande opera di bonifica della stretta e pericolosa gola di Cachao de Valeira sul fiume Douro che permise un accesso più agevolato alla zona attraverso la navigazione fluviale). Si unirono le nuove pratiche di preparazione del terreno, le nuove pratiche di allevamento, una selezione dei cloni migliori, si introducono i trattamenti fitosanitari, si migliorano le tecniche di vinificazione. Alla fine del secolo la viticoltura regionale fu ripristinata.

Ma debellato un nemico ne arrivò uno ancora peggiore: la crisi economica. Le frodi e l’invasione di imitazioni a buon mercato come i Tarragona Portos, i French Portos e gli Hamburg Portos mettono in ginocchio un settore già provato. Nel 1907 Joao Franco firma un decreto che regolamentarizza la produzione e le esportazioni del Porto, rifacendosi ai principi introdotti 177 anni prima dal marchese di Pombal. Si ripristina la delimitazione della regione di produzione includendo il Douro Superior, si stabilisce l’esclusività della regione del delta del Douro per la produzione e del porto di Leixos per le esportazioni dei vini della zona, si stabilisce un titolo alcolometrico minino del 16,5% e si affidano le pratiche di controllo e tutela alla Commissione di Viticoltura delle Regione del Douro.

La vecchia OportoL’ampliamento dei confini della zona di denominazione ed il contrappeso della riforma del commercio di aguardiente, che proibì la distillazione dei vini del Douro costringendo i produttori a reperire l’alcol necessario in altre zone, suscitò violente proteste tanto che nel 1921 il governo di Almirante Ferreira do Amaral ridusse l’area alle dimensioni attuali. Le esportazioni aumentano esponenzialmente fino ad arrivare a punte di 100.000 barili tra il 1924 ed il 1926. Il vino di Porto non era più quell’acidulo vinello ma uno tra i più grandi vini del mondo, fiero di tradizioni e territorio.

Il XX secolo porta in dono ulteriori cambiamenti, naturale evoluzione forse della storia di un vino. Il nuovo regime militare del secondo dopoguerra riorganizza il commercio del vino imponendo Villanova de Gaia quale centro obbligatorio per l’invecchiamento ed il deposito e nel 1933 nasce l’Instituo do Vinho do Porto, che ancora oggi insieme alla Casa do Douro, ha il compito di tutela, studio e ricerca della qualità, finalizzato alla propaganda del prodotto.

Con la Grande Depressione degli anni’30 le vendite del Porto subiscono l’ennesimo arresto ma, forti delle esperienze del passato, non ci si lascia prendere alla sprovvista. Questi anni sono stati la cortina della innovazione che ci conduce al vino di oggi; muta lo stile a favore di uno più giovane e fruibile da subito, nasce il primo Porto bianco secco, ma soprattutto si rivoluziona l’organizzazione e la distribuzione del vino Porto che, alti e bassi, arriva al suo culmine verso gli anni ’60 e ’70.

bicchiere porto

I cambiamenti in corso coinvolgono mercati e gusti. In Inghilterra i singoli importatori, che erano stati fino a un 50 anni prima la spina dorsale del commercio, vengono sostituiti dalle prime catene della grande distribuzione costringendo i produttori a ridimensionare la gamma dei propri prodotti. Alcune aziende furono acquisite in tutto o in parte da grandi multinazionali facilitando l’accesso privilegiato a catene sempre più potenti di negozi al dettaglio. Altre compagnie restano indipendenti e a conduzione familiare, come le storiche Taylor e Fonseca, credendo che il loro prestigio, la loro creatività e la loro qualità costruita nel tempo avrebbe concesso un nuovo successo in una nuova fase della storia del Porto. Il vino si adegua alle nuove tendenze.

Il prestigioso Porto Vintage è destinato ad una fascia alta di consumatori, vuoi per il prezzo vuoi per le esigenze di lungo invecchiamento per goderne a pieno, e lo stile Ruby del Porto resta destinato alle masse. Nasce il Lated Porto Vintage, invecchiato di un anno, di alta qualità e a prezzi accessibili. Così come una serie di regole introdotte consentono una maggiore qualità ed una maggiore scelta tra varie tipologie. L’interesse per il Porto culmina nei moderni anni ’90, soprattutto per i Vintage, culto dei collezionisti, grazie ad esperti e critici che ne decantano lodi con effetti benefici che si ripercuotono anche sugli investimenti. Ma questo fa parte di un altro capitolo.

(Puoi leggere la prima parte dell’articolo cliccando QUI mentre se vuoi proseguire questa è la terza parte della storia del grande Porto)

Pia Martino

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