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Il Saké

Il Saké

Andare in un ristorante cinese è diventato un modo diverso di trascorrere una serata con gli amici, provando pietanze dai gusti nuovi che possono spesso sorprendere per le loro preziosità gustative.

Difficile rinunciare a un piacevole bicchierino a fine pasto e spesso troviamo nel menu il sakè, che non è cinese ma giapponese, inserito nella lista dei cibi solo per soddisfare il cliente.

Ottenuto dalla fermentazione di riso maltato, la storia data la sua comparsa a partire dal III sec. a. C.. Prodotto per la corte imperiale o per i religiosi dell’epoca, veniva offerto solo durante l’alternarsi delle stagioni agricole.

Le due zone di produzione sono Kyoto e Hyoto ed i produttori sono ormai oltre 3.000. Per creare il sakè, il riso viene macinato e cotto, e la farina così maltata viene mescolata ad acqua calda e lieviti di riso selezionati, in modo da innescare il processo di fermentazione, che dura circa una ventina di giorni ed il composto risultante viene torchiato per ricavare un liquido che dovrà poi essere filtrato, raffinato e pastorizzato.

Ora il sakè ha una gradazione alcolica di circa 40° e va consumato immediatamente pena il decadimento del prodotto o in alternativa mantenuto in frigorifero a bassa temperatura, così da conservarlo più a lungo. In commercio ne troviamo una versione giovane con circa 32° alcolici e, se di qualità, deve avere caratteristiche morbide ma contemporaneamente acidule, essere leggermente astringente ed avere profumi delicati, ma se cercate una maggiore morbidezza e una ulteriore delicatezza dei suoi profumi, sceglietene una versione invecchiata.

Come tutti sanno, il sakè si beve caldissimo, ma ai più è sconosciuto il fatto che non si scalda il distillato, ma la bottiglia di porcellana che lo contiene chiamata “tokkun”, che va immersa in acqua calda fino a fare raggiungere al sakè la temperatura di 50 °C.; viene poi servito in piccole coppe chiamate “sakazuki”, sempre di porcellana.

Il saké accompagna i piatti tipici della cucina giapponese e va sorseggiato lentamente, oltre che per tradizione, soprattutto per la temperatura raggiunta dal liquido, ma il massimo del suo splendore il distillato lo dona durante la contemplazione della natura che ci circonda, in un religioso silenzio, nella più schietta delle tradizioni orientali.

Ennio Baccianella
 
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