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Il vino nella letteratura medioevale tra etica e scienza-2^ parte

Il vino nella letteratura medioevale tra etica e scienza-2^ parte

Che il vino causi stati di alterazione e inibizione è un concetto ben noto anche ai tempi di Boccaccio e a molti prima di lui, tanto che in un trattato sul vino di quel periodo, un medico mette in guardia il bevitore dall’eccessivo consumo del nettare: “Non si deve bere fino a ubriacarsi […]; è ubriacandosi che si provocano molte malattie come l’apoplessia, le convulsioni e altre ancora”. Nella seconda novella il povero Tofano, inebriato, cade all’istante in un sonno profondo permettendo così a sua moglie di “far poi il piacer suo mentre egli addormentato fosse” richiamando sullo sfondo le raccomandazioni dei vari trattati sulla corretta fruizione del vino. Bevuto con moderazione, era considerato una eccellente bevanda e addirittura gli veniva attribuito un potere ricostituente: “Infatti per chi beve vino moderatamente e in funzione di ciò che la sua natura domanda ed è in grado di sopportare […] il vino fa buon sangue, dà una bella carnagione, profuma e rafforza tutte le qualità del corpo” al contrario, come nel caso di Tofano, se consumato senza misura risultava necessariamente dannoso. 

Ma il vino non è sempre responsabile, in negativo, della corruzione dell’individuo. Al contrario, nel medioevo si pensava che questa bevanda avesse anche delle proprietà altamente curative. Un esempio è la novella X nella II giornata in cui si narra la storia del pirata Paganino da Monaco che sottrae la moglie Bartolomea a Messer Ricciardo di Chinzica, il quale corre a liberarla per scoprire che la volontà della sua sposa era quella di restare col giovane corsaro. Dietro al suo rifiuto si cela l’incapacità del marito Ricciardo di soddisfare le voglie sessuali di Bartolomea. Egli “più che di corporal forza, dotato d’ingegno” riesce a malapena a consumare il matrimonio durante la prima notte di nozze. E poiché era inoltre “magro e secco e di poco spirito”, la mattina seguente gli “convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse”. Il vino, in questo caso, compare non più come mezzo per soddisfare un interesse personale, ma assume funzione farmacopeica a cui Messer Ricciardo ricorre come rimedio curativo per ripristinare il corpo dopo il quasi svenimento della prima notte passata con la novella moglie.

È singolare notare che questa debolezza del corpo, lamentata da Messer Ricciardo, potrebbe essere causata proprio dalla infrequente attività sessuale, come ci viene spiegato in un trattato spagnolo di tematica medico-erotica del secolo XIV “[a quelli che non praticano il sesso] sobre-viene una gran flaqueza, pierden la fuerza y el sueño” e nel quale, inoltre, si prescrive perfino una medicina, a base di vino, per migliorare il coito: “coge una parte de sangre de macho cabrío, sécala y redúcela a polvo; luego coge dos partes de harina de cebada refinada y mézclalo todo con buen vino […] bebe de ello durante tres noches y verás que proporciona un buen coito”.

secretum secretorumQuello che ci interessa notare tuttavia, al di là delle disavventure sessuali dei personaggi, è come il vino viva questa duplice funzione di corruttore dell’animo e salvatore del corpo, parte integrante del regimen sanitatis quotidiano tanto da venirgli attribuita una proprietà ricostituente e rinforzante proprio perché non solo è in grado di “trasformare gli alimenti in umori che saranno poi distribuiti alle varie membra” ma come ribadito anche nel Secretum Secretorum, “Ai malati ridona la salute; preserva le persone in buona salute dalla malattia”.

Nell’ultima giornata, la numero X, si tratta di liberalità, cioè di quelle azioni nobili e generose che contraddistinguono i personaggi dell’opera. La II novella vede protagonisti Ghino di Tacco — un mercenario molto famoso vissuto nella seconda metà del Duecento, celebre per le sue ruberie e la sua audacia nonché per le lotte contro Bonifacio VIII — e l’abate di Clignì che, invitato da Papa Bonifacio, mentre si trova a Roma, cade infermo allo stomaco e gli viene consigliato di recarsi ai bagni di Siena per potersi meglio curare (la pratica della balneazione ha origini antiche, infatti è suggerita come rimedio già da Celso nel De medi-cina “Utile est etiam ducere in balneum”).

ghino di taccoGhino di Tacco, sentendo che l’abate di Clignì sarebbe passato per le sue terre gli tende una trappola e lo cattura. Interrogato il prelato su dove fosse diretto e perché, Ghino “udito questo […] pensossi di volerlo guerire senza bagno e così gli fa portare da uno dei suoi attendenti due fette di pane arrostito e un gran bicchiere di vernaccia da Corniglia”, ossia un prestigiosissimo vino bianco e secco prodotto nelle Cinque Terre, assicurandosi che il suo luogotenente gli dicesse “quando Ghino era più giovane, egli studiò in medicina, e dice che apparò niuna medicina al mal dello stomaco esser miglior che quella che egli vi farà”. E trattandolo a pane e vernaccia per diversi giorni, Ghino trattiene l’abate presso il suo castello fino a quando, chiesto al prelato come si sentisse, così gli viene risposto “A me parrebbe star bene, se io fossi fuori delle sue mani; e appresso a questo, niun altro talento ho maggior che di mangiare sì ben m’hanno le sue medicine guerito”. L’abate guarisce e una volta tornato presso la sede papale e raccontato a Bonifacio VIII della magnanimità di Ghino di Tacco, l’audace cavaliere viene invitato a Roma e si riconcilia con il Papa.

E come in Dante, dietro al riferimento esplicito, si intravede qualcosa di più grande e cioè di come il vino fosse catalogato nel Medioevo in base al colore, e da questo alle sue qualità. I vini bianchi erano considerati quelli nobili e raffinati, probabilmente perché la vinificazione in bianco implicava un processo produttivo più attento, frutto di accurata selezione della materia prima; nella novella la Vernaccia di Corniglia che Ghino offre all’abate, è un vino bianco prestigioso, adatto a palati e stomaci nobili ed è soprattutto adeguato, poiché leggero e digeribile, caldo e secco, a curare l’infermo abate che, secondo occhio esperto di Ghino, è probabilmente affetto da idropisia, ossia quella patologia caratterizzata da eccesso di liquido nelle cavità seriose e nel tessuto sottocutaneo, ravvisabile nell’essere flemmatico del prelato, e tra i cui rimedi vi era quello di bere un vino secco e non corposo.

Ma molti e molti atri riferimenti possono essere estrapolati da quest’opera, e tutti ugualmente e potenzialmente atti a fornire indizi preziosi sulla società medioevale, il suo credo, le sue contraddizioni, le sue caratteristiche, se non fosse che il tempo è limitato e la trattazione lunga.

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Pia Martino

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