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La nascita del Cocktail in Italia

La nascita del Cocktail in Italia

Tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900, con l’avvento nella nostra penisola dei primi locali notturni sul modello francese chiamati Tabarin, si andò sempre più ad affermare la cultura, per dirla all’italiana, delle bevande miscelate. La “Cocktail Culture” sollecitò subito le campagne pubblicitarie degli alcolici più in voga a colpi di manifesti colorati, che già qualche anno prima fecero la loro comparsa per mano di uno dei più noti ed apprezzati liquori milanesi, il Bitter Campari, che per pubblicizzare il prodotto, raffigurò un elegante bell’imbusto con cilindro e monocolo, sorseggiare il bitter da una coppa.

In quei decenni l’Italia stava faticosamente cercando di tenere il passo a questa nuova tendenza giunta da oltre oceano, che si stava pian piano diffondendo in Europa ad opera di veri e propri pionieri della miscelazione. Da New York, città da cui il nuovo movimento aveva preso vita nel pre proibizionismo di fine ‘800, dirigevano i primi “American Bar” degli hotel più esclusivi di città come Parigi e Londra.

Questa ventata di novità contribuì non poco a dare il via a grandi cambiamenti culturali; basti pensare, ad esempio, all’apertura dei bar alle signore, che fino ad allora erano state fatte accomodare in stanze separate e lì costrette ad attendere i propri compagni.

Il primo “American Bar” d’albergo in Italia aprì nel 1932 all’hotel “Ambasciatori” di Roma, poi divenuto “Grand Hotel Palace”, con alla guida Carlo Castellotti, in arte conosciuto come “Charlie”, personaggio di spessore e barman di spicco per quei tempi. “Charlie” era già molto conosciuto a Parigi fin dagli anni ’20 e, oltre che per le sue doti di miscelazione, era noto per l’innata eleganza, il savoir-faire e i modi molto aristocratici. Si narra che quando arrivò all’hotel, scambiato dal personale per un facoltoso e ricco cliente, con spontanea modestia, disse ai facchini che si apprestavano a prendergli le valigie “Non vi curate di me, sono solo il nuovo lava bicchieri!”.

A seguire nel 1935 in via Veneto sempre a Roma, via che come vedremo poi un paio di decenni dopo raggiungerà fama mondiale, aprì il bar “Rosati”, anch’esso destinato ad entrare nella storia della miscelazione di casa nostra. Roma divenne così in breve tempo la capitale del bere miscelato italiano.

negroniAl di fuori di tali circuiti di clientela internazionale però, il cocktail rimaneva quasi sconosciuto, tranne che per rare eccezioni. Intorno agli anni ’20, tra le poche ricette disponibili, spiccava certamente il “Milano-Torino” che nel decennio successivo, trasformatosi in ”Americano” grazie alla risonanza mondiale di un evento sportivo e del suo eroe, divenne ben presto il cocktail italiano più diffuso ed apprezzato all’estero. Sempre in quegli anni, a Firenze nacque il “Negroni”, anch’esso un’evoluzione dei primi due e, di seguito, il “Cardinale”, il suo parente più povero.

Intanto nel dopoguerra, accantonate in parte le preoccupazioni, prese forma, per opera di un pugno di rispettabili e aristocratici signori appassionati di miscelazione tra i quali un barman e un albergatore, con lo scopo primario di iniziare un’attività didattica e divulgativa sulla miscelazione ed i suoi ingredienti nonché sulla ricerca e sull’innovazione, quello che ancora oggi riconosciamo come l’organo di maggior rilievo e importanza per il movimento nazionale del settore, l’A.I.B.E.S. (Associazione Italiana Barmen e Sostenitori).

cafe de parisSiamo agli albori degli anni ’50 e la ritrovata normalità porta all’incremento del turismo che contribuisce a una più rapida diffusione dei cocktail. Negli anni ’60 Roma legò indissolubilmente le vicende della “Cocktail Culture” nazionale a Victor Tombolini e ai suoi locali, il “Victor Bar” prima e il “Café de Paris” in via Veneto poi, in cui si narra nacque quel favoloso e inebriante periodo storico conosciuto ancora oggi col sensuale nome di “Dolce Vita”.

I barman romani ebbero la possibilità di misurarsi con le richieste della clientela più importante e prestigiosa al mondo, composta da intellettuali piuttosto che da divi della canzone e star del grande schermo, epoca magistralmente immortalata dalla pellicola culto del maestro Fellini. I drink protagonisti delle serate della “Dolce Vita” erano il “Martini”, il “Manhattan”, l’”Old Fashion”, il “Whisky Sour” e lo stesso “Negroni”. In generale si può inoltre affermare che il cinema di quegli anni, con i film di Humphrey Bogart e delle storie di gangsterismo, contribuì non poco a rendere famose e consumate, oltre ai cocktail, bevande estere fin lì poco sdoganate come Whisky e Champagne.

E fu proprio in quel periodo di grande splendore che i barman, i veri ambasciatori di classe e stile, cominciarono a diffondere veramente la cultura e la filosofia del bere miscelato. Cultura legata indissolubilmente a quella dell’accoglienza, dei sorrisi, delle buone maniere e del saper mettere i clienti a proprio agio, che oggi, forse, bisognerebbe un po’ rispolverare.

Riccardo Ceccarelli
ri78pg@libero.it

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