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La Signora del Vino: Donatella Cinelli Colombini

La Signora del Vino: Donatella Cinelli Colombini

Donatella Cinelli Colombini nasce in una famiglia di produttori di Brunello di Montalcino. L’amore per il mondo che da sempre la circonda lo esprime con idee innovative che adesso per noi sono diventate un classico. Mi riferisco alla realizzazione del “Movimento del turismo del vino” e di “Cantine aperte”, dei veri fenomeni che in pochi anni hanno portato al successo l’enoturismo in Italia.

Dopo un’esperienza di 14 anni nella fattoria di famiglia, nel 1998 crea la sua azienda composta dalla Fattoria del Colle a Trequanda – con la cantina del Chianti e dei D.O.C. Orcia, un agriturismo e un ristorante – e il Casato Prime Donne a Montalcino cantina dove, caso unico in Italia, alla produzione del Brunello lavorano solo donne.

Nel 2003 ha vinto l’Oscar di miglior produttore italiano assegnato dall’AIS Bibenda e ha pubblicato il Manuale del turismo del vino seguito, nel 2007, dal Manuale Marketing del turismo del vino. Dal 2001 al 2011 è stata Assessore al turismo del Comune di Siena. Fra le sue realizzazioni il “trekking urbano” una nuova tipologia di turismo sportivo che, da Siena, è stato esportato in altri 34 capoluoghi italiani. Fino al 2011 è stata delegata toscana delle Donne del Vino. Nel febbraio 2013 è stata nominata Vice Presidente delle Donne del Vino e a maggio 2013 Presidente del Consorzio del vino Orcia.

Ci vuole parlare di come era il suo ambiente familiare durante la vendemmia, il vino nuovo, i profumi e ricordi che più ama della sua fanciullezza legati al vino?

I primi ricordi della vendemmia sono del 1970 o giù di li. Il Brunello era una speranza più che una realtà produttiva. Arrivavano i primi clienti e i primi importatori e tutti dicevano la stessa cosa <<ma questo vino è troppo caro, ha il prezzo dei vini francesi>>. Ricordo che andai in Borgogna con mio nonno Giovanni Colombini e quando vidi le loro cantine mi resi conto di quanto fossero piccole e familiari le nostre. La vendemmia comportava un lavoro fisico enorme per tutti quelli della vigna e della cantina e ricordo che durante la svinatura, verso le 11 veniva servita la polenta per ritemprare gli uomini che avevano iniziato a lavorare all’alba.

Un destino diverso forse non se lo sarebbe mai immaginato essendo nata in una famiglia produttrice di Brunello ma se avesse scelto una strada professionale differente quale sarebbe stata e perché?

Mi sarebbe piaciuto continuare a studiare storia dell’arte medioevale, o meglio arti minori, visto che il mio campo di ricerca erano gli smalti traslucidi, cioè piccoli bassorilievi coperti da paste vitree dove i senesi eccellevano fra la fine del Duecento e la metà del secolo successivo. In casa mia intellettuali, studiosi, poeti, grandi architetti erano presenze costanti. Tutt’ora lo studio, anche se di materie diverse dall’oreficeria medioevale, è una parte importante della mia giornata. Per questo mi sarebbe piaciuto fare la ricercatrice.

Tempi di crisi economica e di sfiducia nei confronti delle Istituzioni. Sono molti gli imprenditori che chiudono la propria azienda e licenziano i propri dipendenti. Lei come vede il futuro economico riferito alla produzione e commercio del vino in Italia e all’estero? Esiste davvero la “crisi” o come dicono alcuni è ormai diventato un luogo comune?

Luogo comune? La crisi è gravissima e mantenere in piedi l’azienda senza licenziare nessuno è ogni mese più difficile. Noi produttori di vino sopravviviamo grazie all’export ma le imprese, specie quelle medie come la mia, bruciano le scorte e stringono i denti sperando in un prossimo miglioramento. La concorrenza internazionale è agguerritissima e senza continui investimenti, senza una ricerca costante del miglioramento qualitativo e dell’innovazione tecnologica si viene superati. Qui in Italia la burocrazia è un’autentica palla al piede, le ore e le spese che comporta sono incompatibili con gli attuali bilanci delle aziende. 

Esiste un vino che altri hanno fatto e che lei vorrebbe aver creato prima di loro?

Se fossi vissuta nella metà dell’Ottocento mi sarebbe piaciuto partecipare alla nascita dei primi vini italiani di qualità come fecero i Carpenè, i Gancia, Bettino Ricasoli… 

violante gardini

Sua figlia Violante condivide in pieno le sue scelte e sta attivamente partecipando alla vita dell’azienda. Quali consigli gli dà e cosa si aspetta professionalmente da lei in futuro?

Violante è bravissima, ha una grinta e un’energia straordinarie, fra qualche anno mi succederà alla guida dell’azienda. Quello che dico a lei e a tutti i giovani è << studiate, solo aggiornandosi continuamente sulle scoperte, sui mercati e sulle tendenze dei consumi, riuscirete a guidare la vostra attività verso il futuro e vincere sulla concorrenza. Isolarsi, contentarsi dei risultati raggiunti porta nel baratro>>

Se dovesse scegliere solamente tre vini tra quelli da lei prodotti, quali sarebbero e perché?

Sicuramente il Brunello “Prime Donne”, la bandiera della mia azienda e il simbolo del mio impegno verso l’enologia al femminile. Le mie cantine sono le prime in Italia con un organico di sole donne. Poi “Cenerentola Orcia DOC” un vino che rappresenta la sfida della giovane denominazione Orcia verso le due “sorellastre” più ricche e potenti che sono il Brunello e il Vino Nobile. Con il Cenerentola abbiamo salvato dall’estinzione un vitigno autoctono senese chiamato Foglia Tonda che sta ritornando di moda. Infine il “Drago e le 8 colombe” il mio Supertuscan a base di Sangiovese, Merlot e Sagrantino. Portare il Sagrantino nel versante toscano della Valdichiana è stato un azzardo ma i risultati sono davvero ottimi. 

Se un giovane (meglio ancora una giovane..) decidesse di mettersi a produrre vino, lei approverebbe la sua scelta fatta in questo periodo economico e quali difficoltà crede incontrerebbe e perché?

Il problema più grosso è la disponibilità finanziaria. Dal giorno in cui viene piantata la vigna ai primi soldi incassati passano almeno cinque anni. Un ciclo produttivo lunghissimo e senza eguali in nessun altro comparto economico. 

Molti sono i premi attribuiti ogni anno dalle tante guide vino in commercio, anche noi lo facciamo assegnando i nostri “tre soli”. Secondo lei questi riconoscimenti sono assegnati con il giusto metodo e con obiettività? Cosa rappresentano per un produttore: il giusto riconoscimento, uno strumento di ulteriore vendita per l’azienda o conta poco essendo una moda destinata a perdere importanza con il tempo?

Tutti i premi sono graditi e sono importanti. Credo che tutti i “wine critics” lavorino con serietà, correttezza e impegno nella valutazione dei vini. Ovviamente ci sono giudizi che letteralmente aprono o chiudono i mercati come i punteggi attribuiti da Wine Advocate e Wine Spectator. Altri giudizi sono meno decisivi per una cantina. Così come ci sono esperti con determinate preferenze di stile e una predilezione per alcune cantine, ma questo non significa che un assaggiatore sia scorretto o poco capace, significa solo che valuta in base alla sua cultura enologica. 

Negli ultimi 5 anni abbiamo assistito a due fenomeni: la crescita di importanza dei “wine blogger” e la nuova predilezione per vini prodotti nel rispetto dell’ambiente, usando vitigni autoctoni e valorizzando caratteri distintivi. In altre parole il gusto omologato con molto corpo, molto alcool e molto legno, che ha dominato gli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, ha ceduto il passo a uno stile più elegante e meno potente, ma soprattutto capace di valorizzare le diversità.  

Quali sono i progetti futuri di Donatella Cinelli Colombini e il suo sogno nel cassetto esiste ancora?

In azienda stiamo lavorando a un progetto che si chiama “Cuore delle Donne” in cui sono stati delimitati i filari migliori di tre vigneti e alcune botticelle di rovere prodotte artigianalmente in Borgogna. Presto arriveranno anche dei contenitori per l’ultima maturazione prima dell’imbottigliamento. Insomma puntiamo a offrire ai consumatori qualcosa di esclusivo e rappresentativo del miglior potenziale dei nostri vigneti.

Ma ho anche tre grandi sogni nel cassetto. Una cantina in una zona emergente estera, portare al successo la denominazione Orcia con il progetto “Orcia, il vino più bello del mondo” e accrescere la presenza femminile degli organi dirigenti del vino come consorzi o associazioni. 

Terminiamo l’intervista con un’ultima domanda… perché bere vino?

Perché bere un bicchiere di vino rosso al giorno allunga la vita degli uomini di un anno e tre mesi e bere mezzo bicchiere di vino allunga la vita delle donne di un anno e mezzo. Vi sembra un motivo da poco? Il vino è fra le pochissime cose buone che fa anche bene. 

Ennio Baccianella

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