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Ma si può parlare genericamente di Sangiovese?

Ma si può parlare genericamente di Sangiovese?

Sangiovese… tante sono le ipotesi sull’origine del suo nome. Deriva da “uva sangiovannina”, da “jugum” o da “sangue di Giove”? Non si sa. Quello che è certo che basta dire il suo nome per far illuminare gli occhi degli appassionati di vino di tutto il mondo. E’ amato e considerato, insieme a Nebbiolo e Aglianico, principe dei vitigni italiani, ma si può parlare genericamente di Sangiovese?

Non si hanno notizie certe sul luogo di origine di questo sorprendente vitigno. Alcuni affermano sia la Toscana, altri la Romagna. Fatto sta che il suo areale di insediamento coincide con i territori in cui si affermò la civiltà etrusca che riporta nella sua lingua e nei suoi fonemi riferimenti al vocabolo “sangiovese”.

Le prime informazioni certe su vitigno e vino, risalgono invece al 1590 anno in cui, Gianvettorio Solderini nel suo “Trattato sulla coltivazione delle viti” definisce il vino “sugoso e pienissimo” e aggiunge che il Sangiovese è vitigno che “non fallisce mai” opinione che condivide Cosimo Villafranca che nella sua Oenologia Toscana lo incorona “protagonista di vini ottimi di gusto e generosi”.

Lo stesso autore inizia a distinguere tra i diversi cloni. Parla di un “sangiovese forte” e nomina anche il Sangioveto Romano sottolineando che quest’ultimo viene coltivato anche nel Faentino (zona nell’appennino tosco-romagnolo). Ma è nell’800 che si comincia a parlare diffusamente di questo vitigno.

Nel 1833 Giorgio Gallesio (autore della Pomona Italiana) fece un viaggio in Toscana e si recò nel senese, si guardò intorno, e constatò che il Sangiovese era diventato il vitigno dominante. Si rese anche conto che il Brunello e Prugnolo erano parenti stretti, intuizione che venne confermata da uno studio dei Georgofili che 43 anni dopo dimostrò l’affinità tra i due vitigni. E’ sempre il grande pomologo ligure che ne osserva la somiglianza con il Calabrese (centinaia di anni prima che i contemporanei studiosi armati di analisi del DNA arrivassero alla stessa conclusione) e che ci dà una mappa del territorio in cui veniva coltivato. “E’ l’uva favorita del Fiorentino” asserisce “…entra nei vini del Chianti Pomino e di Carmignano“ così come è presente nel Pistoiese, Senese, Lucchese e Pisano. A partire dalla fine del secolo, vengono portati avanti, dalla commissione ampelografica della provincia di Siena, studi approfonditi sui tre vitigni, Sangioveto, Prugnolo e Brunello, che furono coltivati da Apelle Dei, segretario della commissione, per studiarne le caratteristiche e il vino prodotto.

Si definirono così le differenze fra i vari cloni; Sangiovese piccolo o forte e Sangiovese grosso, che era già conosciuto come portatore dei vini migliori. Nel senese veniva utilizzato il sangiovese grosso che dava grappoli costituiti da acini di grandezza uniforme. E’ il Chianti la zona che viene indicata come originaria e nella quale il vitigno viene coltivato, in un’area molto estesa, in filari a coltura mista, in altane o a basso palo. Ma, come già anticipato, anche in Romagna la coltura si espanse soprattutto nelle zone di Bologna, Forlì, Cesena e Rimini e, in un secondo tempo, nelle Marche, nell’Umbria e Abruzzo. Mentre in Romagna veniva vinificato in purezza, in Toscana era preferito il taglio con altri vitigni perché, era uva un po’ “dura” e si giovava nel “rimescolarlo con le altre” e le altre erano “Canaiolo, Mammolo, Marzamino e talvolta Canaiolo bianco e di Trebbiano ” che rendevano il vino meno colorato e più “aggraziato”.

calice uva rossaVari furono i tentativi fatti per trovare un uvaggio che esprimesse al meglio le caratteristiche del Sangiovese e che desse origine a vini bilanciati e adatti all’invecchiamento. Fu Bettino Ricasoli che, alla fine dell’800, trovò la “ricetta giusta del Chianti Perfetto”: 7 parti di Sangiovese (che dona profumo e una certa vigoria di sensazione), 2 parti di Canaiolo (che tempera la durezza del primo senza sacrificarne i profumi ), 1 di Malvasia (che dona amabilità e, nel caso in cui sia necessario un uso immediato, pronta beva). Se le giuste proporzioni tra le uve è “cosa” nuova per l’epoca, lo stesso non si può dire per la pratica del “governo” che era già conosciuta nel ‘700. I grappoli migliori venivano scelti e posti su cannicci in locali aerati o appesi in penzoli verticali. Gli acini, appassiti, erano ammostati e aggiunti al vino base che aveva già terminato la fermentazione in proporzioni di 5 o 10 parti per 100. Molto accesa divenne la disputa tra chi riteneva il “governo” pratica deleteria che accorciava la vita del vino e chi lo auspicava perché (le lusinghe del mercato…) lo rendeva più gradevole al gusto del consumatore. Ma il Barone Ricasoli non si limitò a cercare le giuste proporzioni tra i vitigni. Da uomo appassionato e preciso, si recò in Francia e al ritorno decise che, dalle sue vigne, avrebbe ricavato un vino che in finezza e qualità avrebbe potuto competere con quelli francesi. Scelse i cloni migliori, modernizzò la sua cantina, aumentò la cura delle vigne e spostò la data della vendemmia fino a piena maturazione dei grappoli e arrivò persino a minacciare di licenziamento quei contadini che avessero anche solo parlato di anticipare la vendemmia a prima del 7 ottobre.

E così, con un salto prodigioso nel tempo, arriviamo ai tempi nostri e sebbene i secoli siano passati, la fortuna di questo vitigno non è terminata. Presente nel 10% della superficie vitata in 72 province, esprime l’eccellenza, non me ne vogliano le altre regioni, in Toscana dove entra in 29 denominazioni e in 105 tipologie di prodotti in cui è presente per almeno il 60%.

sangiovesebisMa che caratteristiche possiede, dal punto di vista ampelografico, questo vitigno? E ancora è corretto parlare genericamente di “vini da Sangiovese”? Il Sangiovese in realtà è dotato di quella che viene chiamata “elevata variabilità fenotopica” ovvero le propagazioni da seme, avvenute nel corso dei secoli, hanno originato una ampia base fenotopica che ha generato, attraverso le interazioni con l’ambiente e con il clima, vitigni che presentano caratteristiche, polifenoliche, gustative e olfattive differenti. Ma vediamo i caratteri comuni. Il vitigno presenta buona vigoria, produzione abbondante e si adatta bene a diversi tipi di potatura. Quelle che danno i migliori risultati sono quelle corte che ne contengono l’esuberanza e assicurano vini di qualità superiore. Predilige le zone collinari e i terreni con media o scarsa fertilità, argillosi o argillosi-calcarei che hanno abbondanza di scheletro e che si asciugano durante il periodo della maturazione.

Due sono le tipologie fondamentali, Sangiovese grosso (coltivato in Romagna e Toscana) e Sangiovese piccolo (il Sanvicetro del Casentino che è caratterizzato da mosti più acidi, meno zuccherini e con più alta stabilità fenotopica) e 6 i biotipi, tre in Toscana, uno in Romagna, uno nelle Marche e uno in Corsica che evidenziano il ruolo fondamentale svolto dalla componente geografica. In Toscana sono state poi evidenziate in 14 popolazioni varietali antiche, 5 ecotipi che presentano caratteristiche diverse nella composizione del mosto (soprattutto in riferimento all’acidità volatile e nell’intensità della materia colorante) e nella produttività e che sono presenti in percentuali diverse nelle varie zone. D’altronde non è solo la natura del vitigno che caratterizza la qualità di un vino. Le differenze nelle temperature, nella natura del suolo, nell’irradiazione solare, nel regime idrico, nell’esposizione del vitigno e nelle pratiche colturali ed enologiche (per dirne solo alcune ) danno origine a prodotti diversissimi tra di loro.

Pensate solamente alle DOCG toscane dove il vitigno entra da solo o in concomitanza con altre uve locali o internazionali: Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano, Chianti e Chianti classico, Morellino di Scansano, Rosso Val di Cornia, Montecucco, Suvereto, Carmignano. Insomma… c’è Sangiovese e Sangiovese, ognuno con le sue caratteristiche e peculiarità, con le sue infinite sfaccettature nei profumi: fiori (spesso viola), frutti rossi o neri, tabacco, che si ampliano con l’invecchiamento, con i suoi tannini, la sua struttura e acidità. Quello che li accomuna è un unico avo che ha elargito ad ognuno di loro straordinarie caratteristiche uniche, differenze che spingono noi, che amiamo il vino e la terra che lo genera, ad apprezzare, senza mai stancarci, questo meraviglioso vitigno.

Maria Miseferi
mary_mimmi@yahoo.it

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