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Meat Art: la tartare come non l’avete mai ammirata

Meat Art: la tartare come non l’avete mai ammirata

Milano la città della food art, della confusione ingegnosa, delle mode incrociate e parallele. Dove si trovano locali di tutti i tipi per mangiare e leggere (librerie con cucina), degustare  e indossare (atelier con bistrot), tracannare e ascoltare (live music pubs). E allora perché, proprio nella Milano ipercreativa, non inventarsi il locale della carne cruda – in particolare della tartare? Il titolare di Meat Art, un bistrot in via Giulio Romano, è lo chef ventisettenne Fabio Amedoro, che ha studiato alla Scuola Internazionale di Cucina ALMA, fondata da Gualtiero Marchesi.

Mentre prendo confidenza con gli spazi e l’arredamento essenziale del suo piccolo ristorante, gli chiedo se esista qualche motivo specifico che lo abbia orientato verso questo piatto di origine francese.
“Molto semplicemente, mi piace la tartare”, risponde Fabio senza pensarci su.”Non ho trovato questa specializzazione in nessuno dei ristoranti dove ho lavorato, in Italia, prima di aprire il mio. A Milano nessuno aveva avuto un’idea come questa, e così ho voluto essere il primo.” Come dire: buttiamoci e vediamo cosa succede, si vede che al giovane Fabio il coraggio non manca.

E quanto alla preoccupazione sulla qualità e sulla carica batterica della carne cruda, in un mondo di aspiranti salutisti, come la mettiamo?
“Direi che le scuole come ALMA esistono anche per questo, cioè per insegnare come trattare una materia delicata come la carne cruda. Con il nostro assistente HACCP facciamo tutte le campionature necessarie, ma conta molto anche il rapporto di fiducia che abbiamo con il nostro fornitore. Acquistiamo solo carne di razza Marchigiana, e l’andiamo a prendere da un piccolo allevatore abruzzese perché ci piace come lavora. E non mi chieda il nome, per favore, perché la produzione è limitata: non voglio farmelo soffiare dalla concorrenza.”

Osserviamole da vicino, allora, queste tartare così preziose da essere secretate all’origine: comincio con la Classica, con pomodori secchi, misticanza di stagione, chips di patata viola, salsa Meat Art e senape in grani. Interessante anche la Sottobosco, abbinata a funghi crudi e trifolati, terriccio aromatico e maionese verde. Molto ben scelta la corte al seguito, ma io sono un maledetto meat lover, e mi concentro sulla regina, la carne cruda: ha quel sapore intenso e alla fine quasi dolciastro, tale da convincerti che stai assaporando qualcosa di non comune.

Fabio, lei ha un punto di riferimento professionale, uno chef da cui trae ispirazione?
“Faccio di testa mia, grazie. Ma se proprio devo rifarmi a qualcuno, direi che i princìpi imparati in una scuola fondata da un grande come Gualtiero Marchesi non si dimenticano.  Basta vedere come sono impiattate le tartare: ci vuole un po’ di studio, e una formazione adeguata, per presentarle in questo modo. E i clienti sembrano apprezzare: ne vedo tanti che restano colpiti dall’estetica, fanno fotografie e postano sui social network: non c’è pubblicità migliore, secondo me.”

Cosa c’è oltre il bistrot? Un progetto più ampio?
“Siamo partiti tre anni fa e abbiamo già fatto qualche tentativo per allargarci. Parcheggiato qui fuori può vedere il nostro chiosco a ruote, una food bike che usiamo per partecipare a eventi come l’ultimo “Rum Day”, dello scorso Novembre. Ma è utilizzabile anche per catering non troppo numerosi ed eventi aziendali.  Proprio il chiosco ci è servito a presentare all’esterno il nostro cannolo, pasta croccante riempita con tartare, condita con olio, sale e salsa Meat Art, e guarnita con due tipi di sesamo, bianco e nero.”

Il menù di Fabio Amedoro non si limita alle tartare ma si estende ad altri sfizi, come il delicato “Cappuccino”,  preparato con funghi in tre consistenze (trifolati, crema e spuma), o come lo shabu shabu di tonno, servito con tempura di cipolla, maionese di barbabietola e chips di rapa rossa.  Ma la creatività qui ha un posto d’onore, e quindi non ci si può aspettare di ritrovare sempre e comunque i propri preferiti: a parte un ristretto numero di intramontabili (tra cui la  Tartare Classica) si fa un giro di valzer ogni due mesi.

E allora in un mondo enogastronomico che tenta di reggere all’impatto con  le ideologie vegetariane e vegane, come giustificare, o addirittura elogiare, un bistrot basato sulla “Meat Art”? Basta semplicemente ricordare che la ristorazione intesa come  food art, che comprende le composizioni estetizzanti dello chef Fabio Amedoro, non ha mai conosciuto e mai conoscerà limiti.  E questo è un canone senza tempo, valido ovunque nel mondo, ma specialmente nella Milano della confusione ingegnosa, delle mode incrociate e parallele.

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