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Quali sono le parole giuste da usare per raccontare un vino?

Quali sono le parole giuste da usare per raccontare un vino?

Scriveva Émile Peynaud… “Si apprezza molto di più un vino del quale si riconoscono le qualità e si spiegano le virtù”. La conoscenza del vino passa attraverso due fasi fondamentali: quella della sua “analisi” e quella della sua “comunicazione”. La prima implica un’attività, la degustazione, basata sulla expertice cioè quella competenza che ogni “esperto” acquisisce attraverso la pratica, l’esperienza e la costanza, quasi quotidiana, di assaggio e che implica concentrazione, educazione, affinamento sensoriale, l’esercizio della memoria, oltre a conoscenze enologiche, viticole e tutto ciò che concerne l’universo del vino, la geografia, la storia e le biografie degli uomini che l’hanno prodotto. La seconda fase è completamento della prima, ed è la capacità di parlare di vino partendo dall’assunto che sia una esperienza sinestetica al cui centro c’è il complesso rapporto tra la percezione sensoriale delle caratteristiche organolettiche del prodotto e la loro comunicazione attraverso l’uso del linguaggio verbale.

profumi2Il problema più grande di chi degusta è proprio questo, trovare le parole adatte per descrivere e raccontare in modo efficace e attendibile le impressioni del palato e, in modo particolare quelle del naso, essendo questo un senso “muto” cioè privo di un vocabolario adatto alla descrizione delle sensazioni olfattive. “Quando si vuole parlare in modo approfondito di vino, ci si scontra subito con la povertà dei mezzi di espressione, con la barriera dell’inesprimibile, si vorrebbe poter dire l’indicibile. Noi assaggiatori ci sentiamo traditi dal linguaggio perché ci sembra impossibile descrivere un vino senza semplificarne e deformarne l’immagine. Non resta che un’abile risorsa: giocare con il valore evocativo delle parole” (É. Peynaud).
Considerare il vocabolario del vino solo una lista di termini e locuzioni attraverso cui descriverlo è piuttosto riduttivo. Sarebbe altresì corretto parlare di microlingua, di metalinguaggio o di linguaggio specializzato, da usare in un certo ambito professionale, ampio e rigoroso, ma che non disdegna variazioni poetiche, metafore e sinestesie. Un insieme di termini attraverso cui arrivare a un significato o un riferimento comune che soddisfino le necessità comunicative di chi parla e di chi ascolta senza derive semantiche o ambigue. Per quanto immaginifica spesso possa sembrare la “lingua” della degustazione, essa non fa altro che trasformare e alterare parole abituali conferendo loro un senso figurato ed evocativo, arricchendolo di nuove accezioni, cercando di accerchiare le verità sempre sfuggenti di un vino e del suo vissuto.
Ma quali sono le parole usate per raccontare un vino? 
 
Semplici aggettivi quali “limpido, consistente, astringente, fresco, snello”, o composti quali “rosso rubino, giallo paglierino lucente, rosso mattone, rosa tenue”, oppure sostantivi come “struttura, tessuto, stoffa, nerbo, evoluzione, carattere”, senza disdegnare gruppi nominali attributivi quali ”naso avvolgente, naso chiuso, naso vegetale, bocca nervosa, bocca ruvida, sapore caldo, sapore lungo e bilanciato”. Sotto il semplice profilo semantico gran parte di questi aggettivi e sostantivi sono parole di uso comune che vengono rideterminate in modo tecnico e arricchite di nuovi sensi attraverso l’assegnazione di un significato specifico, frutto di artefici linguistici che si arricchiscono di metafore, sinestesie, metonimie e similitudini.
aromiD’altra parte il ricorso a metafore e sinestesie è assolutamente naturale quando si parla di esperienza polisensoriale quale quella del gusto del vino. E’ inevitabile quindi che il linguaggio venga impressionato dall’esperienza corporea conservandone le tracce: le metafore per descriverlo sembrano avere una connessione naturale con l’esperienza sensoriale, con le impressioni fisiche realmente avvertite e in taluni casi si sostituiscono alla percezione. Prendiamo il termine “setoso” usato per descrivere un vino con una struttura morbida e liscia al palato, o il termine “accogliente” per indicare la capacità del vino di fondersi con la lingua, di fasciarla come un morbido drappo senza risultare stucchevole. E ancora i termini “tessuto” e “trama” riferiti al corpo del vino e alla presenza dei tannini, usati per indicarne la sensazione tattile del liquido all’interno della bocca.
Ci sono poi parole che attribuiscono al vino caratteristiche antropomorfiche, riferite cioè a qualità umane, che alludono all’aspetto fisico di una persona, a parti del corpo, a tratti della personalità o a virtù morali piuttosto che all’età o alla forma fisica, alla misura, al peso. Per descrivere la struttura o corpo di un vino si usano parole come “pesante, robusto, pieno, forte, grosso, o magro snello, sottile, leggero…” a seconda che si tratti di un vino con un corpo ben percettibile al tatto orale o meno. Di un vino robusto si dice che “ha stoffa, di trama fitta o di lunga vita”. Di un vino magro invece si dice che è “liso” o di “trama visibile”. Per non parlare poi del vestito di un vino, del suo aspetto e del colore, che sono immediatamente visibili. Della “grana” delle bollicine per indicarne dimensione, di “archetti” e “lacrime” per indicarne la consistenza valutata attraverso l’attenta osservazione delle gocce che scendono lungo le pareti del bicchiere dopo la rotazione del vino per effetto dell’alcol in esso contenuto. Si parla di vini “tranquilli” in opposizione ai “frizzanti” per indicarne la presenza o meno di anidride carbonica.
Ma è il momento in cui il vino entra in bocca che diventa tutto più ampio. Si usano locuzioni quali “fa la ruota” o “coda di pavone” o “pirotecnico” per indicare il momento in cui la ricchezza di sapori viene percepita in bocca. Si parla di ”equilibrio gustativo” quando si percepisce una giusta proporzione tra le “durezze” e “morbidezze” del vino, cioè quelle caratteristiche del vino legate a componenti che riportano alla mente sensazioni gradevoli di morbidezza come la dolcezza o il calore, oppure sensazioni più forti, di impatto come l’acidità o l’astringenza dei tannini. In questo caso la terminologia diventa multiforme: è “bilanciato o rotondo” se è ben costruito, “squilibrato” quando è scarno. In riferimento alla morbidezza del vino, sensazione tattile legata alla presenza di una serie di componenti che da la sensazione di avvolgenza in bocca, si usano parole quali ”vellutato, morbido, soffice” come se ci si riferisse a un tessuto. “Gentile, rotondo, scorrevole” quando si ha la sensazione che accarezzi i palato grazie ad una buona presenza di zuccheri ed altre componenti.
aromi2E il linguaggio diventa ancora più ricco e immaginifico quando si parla di profumi, la fase più complicata e appassionante. Le sensazioni odorose vengono identificate attraverso associazioni e similitudini riconducibili ad una serie di classi e sottoclassi: fruttato, floreale, vegetale, vinoso, speziato, etereo… in questa fase la lingua del vino attinge a quella dell’arte profumiera, della pittura o dell’arte culinaria “note di…”, “sentore di…”, “eco di…” ”tono di…” per esprimere le sfumature, l’evanescenza e il carattere discreto o appena accennato di un odore. E ancora “ventaglio, fontana, bouquet” indicano la ricchezza e la varietà dei profumi. L’intensità, la complessità e qualità olfattiva hanno un repertorio altrettanto ricco di parole. Un vino si dice intenso quando i suoi aromi si avvertono bene “neutro, povero, scialbo” quando ha un odore di debole percezione: “ricco, complesso, ampio netto, franco” quando è ricco di profumi.
Attingendo alla ricchezza della lingua del vino i comunicatori possono raccontare o commentare verbalmente un vino ciascuno con il proprio stile, variabile anche in relazione al tipo di vino degustato o alla tipologia di commento richiesto. Si ascolta il vino quando viene versato, si osserva il colore, si fanno ipotesi da confermare o smentire, si scoprono odori e sapori, si gode dell’assaggio che a volte va oltre la fisicità, ma il compito più difficile resta quello di comunicare questa esperienza soggettiva agli altri in modo che venga capita.
Pia Martino

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