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Riccardo Cotarella: il vino è sempre un abito cucito su misura

Riccardo Cotarella: il vino è sempre un abito cucito su misura

Nonostante alcuni rossi invecchiati siano talmente intensi da non permettere di guardare attraverso, noi estimatori o semplici bevitori dovremmo sempre osservare per capire cosa, o meglio, CHI si nasconde dietro un bicchiere di vino. Quando visitiamo una cantina, apprendendo la sua storia e assaporando i suoi prodotti, dovremmo sempre capire chi è la persona fautrice di questi imperi enologici. Nomi più o meno rinomati, storici o innovativi; dietro alle etichette del nostro patrimonio vinicolo si cela il lavoro e la passione di persone che hanno dato il via a realtà evolute e arricchite nel tempo, fino a divenire parti essenziali di quel nettare che tutto il mondo ci invidia.

Tra i tanti pionieri della realtà vitivinicola italiana sicuramente un ruolo fondamentale e significativo è ricoperto da Riccardo Cotarella.

Enologo di fama internazionale dal 1968, docente di Viticoltura ed Enologia presso l’Università della Tuscia di Viterbo e accademico aggregato dell’Accademia dei Georgofili; alla professione di enologo ha costantemente affiancato l’impegno civile, seguendo nel processo di formazione agrovinicola i giovani della Comunità di San Patrignano, partecipando al progetto “Wine for Life” della Comunità di Sant’Egidio e seguendo la cantina palestinese Cremisan. Dal 2013 è Presidente di Assoenologi e nel 2014 è stato scelto come Presidente del Comitato scientifico per l’allestimento del padiglione del vino italiano di Expo 2015.

Ma il nome di Riccardo Cotarella è accostato da sempre all’Azienda Falesco, creata insieme al fratello nel 1979 con l’obiettivo di recuperare gli antichi vitigni del territorio; obiettivo che è diventato con il tempo lo scopo delle sue sperimentazioni e dei suoi studi, i quali hanno portato a risultati unici e innovativi. Nonostante gli innumerevoli impegni ha risposto ad alcune domande che ci hanno permesso di dialogare e conoscere più da vicino non solo l’enologo, l’imprenditore o lo “sperimentatore” ma soprattutto l’uomo.

Famiglia… Lei proviene da una famiglia di produttori di vino, da generazioni; suo padre, suo nonno e suo bisnonno. Fin da piccolo ha potuto toccare con mano l’origine e le più antiche tecniche utilizzate. Questa sua educazione le ha permesso di raggiungere i risultati dei quali tutti siamo a conoscenza nel settore vinicolo?
Le radici sono inscindibili da ognuno di noi. Le mie portano i segni della terra, intesa come oggetto di culto, devozione. Non il saccheggio, ma l’amore, la fatica, gli investimenti. Poi il mondo del vino è cresciuto. E dall’empiria, fatta di vecchie esperienze, si è passati alla scienza. Vale a dire a conoscere i vitigni, il loro rapporto col territorio, le potenzialità dell’uva da esaltare nel processo di vinificazione.
Emozioni… credo sia corretto affermare che la sua famiglia abbia fatto del vino il proprio mondo. Che emozioni prova quando, spogliandosi della veste professionale, entra in cantina e assaggia il “suo “ vino?
La medesima emozione che si prova alla nascita di un figlio. Che è al tempo stesso antica e nuova. L’assaggio è sempre una scoperta, con tutte le incognite che ogni vino porta con sé.
Interpretare… il legame tra vino-vitigno-territorio è indissolubile e spesso interpretato dagli “addetti ai lavori” come un limite al quale adeguarsi. Lei è riuscito a sostituire l’idea di adattabilità con quella di interpretazione;  interpretazione dei territori in funzione della produzione di vino non solo in terre cosiddette “vocate”. Cosa l’ha portata a questa conclusione innovativa? Può farci un esempio concreto di “interpretazione di un territorio” in funzione del vino prodotto?
Il territorio è parola assai estensiva. Oggi si parla di zonazione, che impegna spazi ben definiti. Ma io aggiungerei che la ricerca va spesso condotta da zolla a zolla, se è vero – e lo è – che la diversa esposizione o una diversa giacitura danno vita a quel microclima, che differenzia gli esiti di un grappolo d’uva dall’altro. 
Riconoscere… per capire la qualità di un vino ci sono molti modi. L’esperienza, la tecnica, la conoscenza sono solo alcuni. Lei avrà assaggiato molti vini e può facilmente valutarne le caratteristiche. Può consigliare ai nostri lettori un modo semplice e pratico per capire se un vino è di buona qualità?
Premesso che oggi tutti i vini italiani, anche quelli senza particolari orpelli, garantiscono una sicura qualità, non esiste un disciplinare interpretativo cui riferirsi. Non c’è niente di più soggettivo nel campo sensoriale (lo capirono i filosofi greci oltre duemila anni fa), che varia da persona a persona e nello stesso individuo da un momento all’altro. Il consiglio è solo quello di scegliere un vino che sia espressivo dell’ambiente in cui nasce e ne conservi la storia e i caratteri.
Vino italiano… il nostro vino è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. In cosa si distingue da quello dei Paesi concorrenti e perché piace così tanto?
Risposta fulminante. Perché il vino non è una moderna invenzione che ha incontrato un imprevedibile successo. Ma ha alle spalle secoli di storia (le prime viti arrivano con i Greci nel sesto secolo a.C.) , anche se la pianta era già presente sul nostro territorio. Di qui quel patrimonio di vitigni autoctoni, che fa la differenza fra i vini italiani e quelli cileni o australiani.
Contraffazione… un male sempre presente e che provoca enormi danni sia economici che d’immagine. Secondo lei quali sono i modi migliori, non solo di combatterlo, ma di estirparlo alla radice e Falesco in quali misure utilizza per fronteggiare il pericolo?
Contraffazione. Penso non sia il caso di enfatizzare il fenomeno. E’ piuttosto datato, e non credo tenda a ripresentarsi. Gli organi preposti al controllo dei processi di vinificazione offrono le più ampie garanzie, alle quali si affianca la responsabilità e direi l’orgoglio di ogni produttore. A non tener conto delle frequenti misure adottate dal Ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina, assai vicino e attento al mondo del vino. Circa la Falesco, è stata da sempre all’avanguardia nella tutela del consumatore. Ma questo non lo considero un merito, bensì un dovere.
Falesco e non solo… nome storico, molto conosciuto e che incute rispetto nel mondo del vino; un’azienda che ovviamente ha beneficiato delle sue sperimentazioni, e che oggi permette ai suoi studenti di formarsi attraverso degli stage. Oltre ad essa però sappiamo che da tempo porta avanti diverse sperimentazioni nell’ambito di numerose cantine sperse per la penisola. E’ corretto affermare che ogni sperimentazione è “personalizzata”, cioè creata su misura per ogni singola realtà?

Costruire un vino è un progetto. E come tale si muove su rigorose direttive e con un obiettivo quantomai preciso. Ben altra cosa è intervenire su un vino già in produzione, per dargli un’identità, capace cioè di renderlo espressivo del territorio in cui nasce. Per cui nell’uno e nell’altro caso, l’enologo “firma” il vino, che finisce così per tradurre gli esiti della sua formazione culturale, delle sue ricerche, delle tecniche più avanzate.

Tecnologia, una risorsa da condividere… tornando alle sperimentazioni personalizzate, sappiamo che con i vari produttori dislocati per il territorio italiano ha instaurato un rapporto collaborativo stretto; di recente l’Umbria ha ospitato una manifestazione volta ad esaltare e i produttori under 40 e tra essi molta attenzione hanno suscitato 8 produttori di altrettante cantine che hanno dato vita all’Associazione Vignaioli Umbri Resistenti, progetto che prevede lo scambio concreto di sapere, attrezzature e competenze. Secondo lei la tecnologia applicata sia in vigna che in cantina, può essere interpretata come una risorsa da condividere? I risultati ottenuti nell’ambito di una singola realtà possono diventare spunto per nuove sperimentazioni o essere adattati altrove? 
La collaborazione, lo scambio dei risultati raggiunti, la capacità di fare alleanza è nello spirito dell’Assoenologi. Il produttore che si chiude nei confini della propria cantina, non ha molto futuro. Insieme si vince, recita un vecchio slogan. E questo è più che mai vero per il vino. L’iniziativa degli otto produttori umbri è certamente degna di lode. Circa  l’estensione ad altre realtà degli esiti raggiunti, non va dimenticato che il vino è sempre un abito cucito su misura, vale a dire che deve tener conto del territorio, delle uve e delle tradizioni vinicole.
Crisi… la cosiddetta crisi sta colpendo tutti i settori economici del Paese e crescono le vendite di vini a basso costo pur avendo una scarsa qualità del prodotto. Secondo lei quanto incide la crisi nel mercato vinicolo e come è possibile mantenere un elevato livello di qualità pur avendo un aumento dei costi di produzione e una diminuzione delle vendite?
Crisi. Non mi pare – almeno per il settore  vino – che la situazione sia da drammatizzare. Al calo delle vendite interne ha fatto riscontro una forte spinta sui mercati esteri. E questo è un dato da non trascurare. Certo, c’è da auspicarsi una ripresa del consumo in Italia, ma il fenomeno non è estraneo al quadro dell’economia nazionale.
Expo’ 2015… L’Expò di Milano sta volgendo al termine; che giudizio si sente di dare alla manifestazione? Ritiene abbia tenuto fede alle aspettative iniziali rivelandosi una reale opportunità per l’enogastronomia italiana?
L’Expo è stata un’eccezionale vetrina sul mondo. E la sua validità non va calcolata sull’indice delle presenze o sul volume d’affari. I risultati – che non sono mancati – impegnano uno sguardo sul prossimo futuro.
Scelta fortunatamente obbligata… sappiamo che, pur essendo nato e cresciuto nel settore vinicolo le sue aspirazioni erano altre. Oggi, alla luce dei risultati ottenuti, dei riconoscimenti, dei progressi raggiunti e della passione che palesemente mette in ciò che fa, sente di dover ringraziare quel “aut auto” che in gioventù la costrinse a scegliere questo settore? (i lettori di EventiDOP.com e gli appassionati  di vino ringraziano sicuramente!)
Tutti abbiamo, chi più e chi meno, vissuto il dilemma della scelta, spesso fra il sogno da inseguire, magari lungo tutto una vita, e la realtà di ogni giorno. Io ho deciso di restare con i piedi a terra (o meglio nella terra), e devo dire che non mi sono mai pentito. Anche perché questa mia dedizione è stata largamente compensata.
Tre vini… Per concludere, può consigliare ai lettori di EventiDOP.com tre vini Falesco da tenere sempre nella propria cantina? E già che ci siamo altri tre che lei conosce di produttori italiani?
Presiedo con sicuro impegno l’Assoenologi, che accoglie più di quattromila colleghi. Per cui non mi pare corretto citare vini che fatalmente ci rimandano alle aziende, dove gran parte degli enologi opera. A maggior ragione, mi guardo bene dal citare i vini della Falesco.

Con quest’ultima risposta, che conferma chiaramente l’onestà professionale del vero enologo, ringraziamo di cuore Riccardo Cotarella per il tempo che ci ha dedicato; è importante per i nostri lettori (ed è stato estremamente prezioso x me) conoscere più da vicino un uomo la cui missione professionale permette ogni giorno al nostro Paese di compiere piccoli passi nel settore enologico, settore del quale tutti noi possiamo e dobbiamo andar fieri.

Sono sicura che dopo aver conosciuto e ascoltato chi ha votato la propria vita e la propria attività al vino, anche il nostro degustare profano assumerà un valore diverso; oltre ai sentori canonici, infatti, percepiremo l’identità e l’ispirazione perché come afferma Cotarella ogni vino “é un vestito cucito su misura”, e il guardare attraverso si rivelerà ancora più motivato e…“familiare”.

Dania Marcelli

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