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#scoprilabruzzo in pasticceria, grazie ai prodotti tipici

#scoprilabruzzo in pasticceria, grazie ai prodotti tipici

Cosa ti aspetti di trovare in Abruzzo, caro turista informato, o gastronomo professionale (o autodidatta), o buongustaio impenitente?  Forse ti aspetti ciò che ti passa la grande distribuzione organizzata,  ovvero il  sito di e-commerce che fa l’occhiolino ai food lovers, o più in generale  il  Mercato, con l’iniziale maiuscola.  Cose come il Montepulciano rosso, gli arrosticini preconfezionati, se vai sul litorale adriatico anche qualche brodetto di pesce… e poi?  Già terminato il catalogo? No, se spendi qualche minuto di approfondimento per allargare gli orizzonti, in modo da aggirare il turismo dell’ovvio.

Volendo abbandonare il cliché “Montepulciano&Arrosticino” si potrebbe cominciare dalla merenda, forse anche dal fine pasto, per chiedersi come stimolano la meditazione gli abruzzesi, dopo un buon pranzo. Oppure, come accompagnano la torta di compleanno. In compagnia di alcuni giornalisti di testate specializzate ho potuto “sfruttare” il press tour #scoprlabruzzo per sperimentare il lato dolce dell’ Abruzzo: giro perciò le domande a Camillo Conti, presidente dell’Associazione produttori di vino cotto di Roccamontepiano (CH).

Dr. Conti,  cosa ne fate del vostro prodotto tipico, qui in in mezzo alle colline?
“Il nostro vino cotto (diverso da quello marchigiano, che è meno denso e corposo) si fa versando il mosto appena pigiato in una grande caldaia di rame o di acciaio e lasciandolo cuocere tra le sei e le dieci ore, fino ad ottenere una riduzione del 70% circa, rispetto al volume iniziale.  Dopo il raffreddamento, il mosto viene trasferito in botti di rovere o castagno per l’invecchiamento (minimo 2 anni). Ne vien fuori un vino liquoroso di un rosso intenso, tra i 12 e i 15 gradi, dolce ed aromatico. Il disciplinare che ci siamo dati prevede che dopo 5 anni di botte si ottenga la denominazione “superiore”, e dopo 8 anni la “riserva”
Se avete un disciplinare vuol dire che siete già pronti a venderlo nei normali canali distributivi, giusto?
“L’Associazione ha anche questo scopo, ma quel che lei prevede non accadrà domani: ci stiamo arrivando. Abbiamo dovuto introdurre un certo livello di standardizzazione e mettere in piedi un centro unico di cottura, superando la mentalità tipica della microproduzione familiare, del tipo ”il mio è il più buono e non dico a nessuno come lo faccio”. Mi sembra normale che i problemi siano di questo tipo , dato che parliamo di un vino prodotto in un contesto familiare, con duemila anni di storia: pensi che se ne occupa perfino lo scrittore latino Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”
bocconottoTornando alla caldaia  e al vino, se dopo la prima metà della cottura se ne preleva un po’(già ridotto al 50%) si ottiene il cosiddetto mosto cotto. Una preparazione che  serve a introdursi nel mondo della pasticceria abruzzese, dato che la si adopera per legare e aromatizzare gli ingredienti.  Come quelli del ripieno del bocconotto di pasta frolla, specie di crostatina coperta con dentro mosto cotto e marmellata d’uva, oppure cacao, cioccolato, cannella e mandorle tritate.
“L’originale ha un ripieno di marmellata d’uva,  precisa Giuseppe Del Fra’, titolare della pasticceria “Lu furnarille”, ma poi è chiaro che ogni paese ha le sue particolarità: qui a Vasto (CH) si trova più facilmente quello con la copertura di cioccolato fondente. Lo stesso discorso vale per il mostacciolo, altro tipico dolce abruzzese a base di mandorle, miele, mosto cotto, cannella, cioccolato fondente”
bocconotto2Esisterà un dolce che non cambia da un paese all’altro e da una famiglia all’altra?
“C’è una certa fissità nelle ricette della Pupa e del Cavallo” risponde Giuseppe sorridendo “si tratta di due dolci nati nell’800,  a base di miele, cacao e mandorle, da regalare in occasione della Pasqua, o come doni tradizionali di fidanzamento. Ricordo ancora che da ragazzo, quando nella settimana di Pasqua il lavoro si moltiplicava per dieci e saltavano tutti gli orari, non vedevo l’ora che arrivasse il momento d’infornare Pupe e Cavalli: stava a indicare che il superlavoro era quasi finito, e  si poteva rifiatare”  Le reminiscenze sono ancora in grado di commuovere Giuseppe, che non si preoccupa  di nascondere le sue emozioni.

Per completare il quadro, e passare dalla relativa fissità addirittura al segreto tramandato di padre in figlio, ci spostiamo dalla costa all’interno collinare, a Guardiagrele (CH), sede del Parco Nazionale della Majella. Sempre di pasticci si tratta, ma questa volta pare abbiano il crisma dell’esclusività. “Non abbiamo il copyright sulla denominazione” ci racconta Emo Lullo dell’omonima pasticceria “ma posso dire con orgoglio che le sise delle monache come le facciamo noi non le fa nessuno. Solo a Guardiagrele, quindi: io poi, ho la mia versione, che reputo unica per freschezza e qualità degli ingredienti, e per la morbidezza dell’impasto”

sise delle monacheDa dove viene il nome e di che si tratta?
“Tortine di pan di Spagna, sofficissimo,  ripiene di crema pasticciera. Per guarnizione, una spolverata di zucchero a velo e nient’altro. Il segreto, fin dall’inaugurazione del laboratorio nel 1889, sta nella consistenza dell’impasto e nel sapore di latte e uova fresche della crema. Più sono semplici, le sise, più sono buone. Il nome, secondo una delle tante teorie, viene forse dalla somiglianza delle sise (sempre a tre punte) con il petto delle monache, che anticamente infilavano un involto di stoffa tra i due seni per appiattire le  forme ed eliminare gli sguardi maliziosi”
Le sise vengono vendute anche lontano da Guardiagrele?
“Sicuramente non da me, che ho fatto una scelta a chilometro zero.  La gente percorre anche cento chilometri per venire a mangiarle proprio qui, perché gli ingredienti sono speciali, selezionati da persone di cui ti puoi fidare, e la lavorazione particolare del pan di Spagna  rende difficile o impossibile l’imitazione. Non ha senso spedirle da qualche altra parte imbottite di conservanti. Vanno mangiate freschissime: domani avrebbero già un altro sapore”

Posso confermare che c’è qualcosa di unico in questa morbida tortina a punta, che si porta dietro otto secoli di storia e che nella forma ricorda vagamente un grosso bigné.  Sporcarsi di zucchero a velo non è un problema, visto che Emo Lullo si è ben rifornito di spazzole per abiti: l’esperienza insegna.

E quindi la prossima volta che al supermercato cercheremo la carne d’agnello, o il vino rosso abruzzese, faremo bene a tenere a mente anche il vino cotto, i bocconotti, le sise delle monache. È molto probabile che non li troveremo sugli scaffali, ma non si sa mai. Anche solo sapere di che si tratta, e poi provare a insistere con grossisti e dettaglianti perché promuovano i fornitori di nicchia, ha un vantaggio certo: aiuta sia il turista informato sia il buongustaio impenitente a tenere il cervello connesso.
Guido  Gabaldi  

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