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Il sakè di Iwate: un biglietto da visita

Il sakè di Iwate: un biglietto da visita

Come sarebbe un viaggio in Giappone,  dall’ altra parte del mondo, avendo la possibilità di farlo? Innanzitutto bisognerebbe scegliere dove andare, forse con un minimo di imbarazzo: perché al di là della capitale, Tokio, e di qualche altra località arcinota, come Osaka, sono pochi i luoghi ben conosciuti, dal punto di vista turistico, in Occidente.

Noi italiani, probabilmente, potremmo gradire la prefettura di Iwate, un’area amministrativa situata nella parte nord orientale dell’arcipelago. Gli elementi indispensabili per una vacanza piena di brio ci sono tutti: a cominciare dai monumenti, se si pensa ai templi e ai giardini (patrimonio culturale dell’UNESCO) della cittadina di Hiraizumi, ove si può ammirare il padiglione Konjikidō, rivestito all’interno e all’esterno di lamine d’oro. Chi ama il mare e i paesaggi fiabeschi potrà godersi la vista delle scogliere Kitayamazaki, otto chilometri a picco sull’oceano ad un’altezza media di duecento metri.  Il turista termale avrà le sue soddisfazioni, dato che il territorio è molto ricco di sorgenti e la salubrità delle acque è rinomata in tutto il Giappone. E poi il cibo: noi italiani siamo un po’ fissati con l’enogastronomia, e quindi questo aspetto non può passare sotto silenzio. Il mare di Sanriku, una delle aree di pesca più ricche del mondo, offre una carrellata di frutti di mare di gran pregio, oltre a prelibatezze come il coccodrillo e l’abalone.  Ma forse il prodotto più tipico è l’alga, nelle versioni wakame e nori, mentre le konbu costituiscono l’ingrediente principale del brodo dashi, che fa da base a moltissimi piatti.

Questa cornucopia di alimenti diversi, e per di più insoliti per un palato occidentale, come si accompagna? Vogliamo berci sopra un Franciacorta, un Vermentino, un Greco di Tufo, uno Champagne? I vini italiani e francesi si trovano, in Giappone: magari non dappertutto, ma il visitatore appena un po’ curioso ha l’occasione buona per conoscere il sakè e farsene intimo. Lo chiamano vino di riso, e a ben vedere qualche vaga somiglianza c’è, almeno nel processo produttivo.  Il riso, levigato per eliminare le parti più esterne, viene lasciato in ammollo in acqua e poi cotto al vapore. A questo punto si aggiunge una muffa (Aspergillus oryzae), per saccarificare gli amidi del riso, e dopo la trasformazione ancora acqua e fermenti,  per convertire gli zuccheri in alcol.  Dopo un ulteriore periodo di fermentazione, variabile da produttore a produttore, il composto viene spremuto  e lasciato riposare per circa sei mesi, prima di essere imbottigliato.  Il tenore alcolico in genere varia dai venti ai sedici gradi.

Uno come me, che di sakè ne ha bevuto abbastanza poco, deve per forza farsi guidare da un esperto: io ho scelto Masaaki Hirano, Direttore Vendite della Nanbu Bijin co., una distilleria nel territorio della città di Ninohe, circondata da riserve naturali e parchi nazionali: si ha un’idea più precisa del paesaggio se si tiene a mente che l’80% della superficie della prefettura di Iwate è coperta da boschi.

Masaaki, perché chiamate il vostro sakè “Southern Beauty”, cioè bellezza del Sud” (Nanbu=del Sud; Bijin=bellezza)? “Nanbu” è il cognome della famiglia che governava quest’area tanto tempo fa. Quanto alla bellezza, all’epoca in cui la distilleria venne fondata la maggior parte del sakè giapponese non era di buona qualità. Ma i fondatori volevano ottenere un sapore puro come la bellezza femminile, e da quest’idea venne “Nanbu Bijin”. Dopodiché, pensammo che per esportare il nostro prodotto la traduzione inglese avrebbe funzionato meglio, e così si arrivò a “Southern Beauty”.
A proposito di esportazioni, c’è un paese estero in cui il sakè è più facile da vendere? “È molto apprezzato negli Stati Uniti. Credo sia dovuto al fatto che là esistono molte metropoli abitate da cittadini di ogni razza e colore, che perciò si abituano al dialogo con culture diverse e distanti.”
E veniamo all’Italia: mi consiglierebbe un sakè particolarmente adatto ad un aperitivo all’italiana (salumi, olive e formaggi)? “La ricerca del miglior abbinamento tra sakè e pietanze diverse è un tema assai interessante, e di conseguenza abbiamo trovato più di un saké da aperitivo.  Un sakè sicuramente “da tavola”, e molto versatile, è il Ruten Miyama-Nishiki, che offre un gusto di riso piuttosto corposo e una fragranza delicata. Se si desidera un sapore più ricercato ed esclusivo si può provare l’All Koji, più abboccato e di consistenza quasi setosa.”

Nella patria del sakè, naturalmente, non esistono solo i grandi produttori come Nanbu Bijin, da 450.000 litri all’anno, con una quota di esportazione pari al 10%: anche i piccoli artigiani meritano il loro posto al sole. Uno di questi, sempre all’interno della prefettura di Iwate, è sulla breccia da due secoli e cerca di valorizzare al massimo le materie prime locali, o come si dice oggi “a km 0”: nel nostro caso, riso ed acqua di sorgente. Mi riferisco alla distilleria “Washino-o”: la dimensione è diversa, rispetto alla sua più grande consorella Nanbu-Bijin, ma la convinzione di avere tra le mani un simbolo intramontabile è la stessa.
Domando a Tomo Kudo, il presidente di “Washino-o”, quale sia la più importante differenza tra una grande distilleria industriale e la produzione artigianale. “La più importante è la forza del capitale, senza dubbio.  Ma la passione che ci mettiamo è la stessa, e nel caso di “Washino-o” forse l’orgoglio è ancora più grande: abbiamo quasi 200 anni, e andiamo fieri dei nostri metodi tradizionali di produzione.”
Presidente, esiste una specie di “Sakè Gran Riserva” da offrire nelle occasioni speciali? “Certamente sì. Si chiama “Sen Koshu” e ha un gusto speziato davvero intenso, con un sottofondo di noce e té nero. Solo un Gran Riserva può arrivare a questi livelli di raffinatezza.”
E quando si arriva al dessert, qual è il suo abbinamento ideale? “Mi sento di raccomandare “Asamurasaki”. Il colore è rosato, il gusto quasi dolce con una punta acidula.”

Anche da un breve resoconto come questo dovrebbe risultare chiaro che il  “vino di riso” può essere una grande scoperta tra le scoperte, per il turista che non è mai stato in Giappone ed è alla ricerca di un ricordo che non si estingue, ma si può far rivivere a piacere, semplicemente riempiendo un bicchierino. In un’area di selvaggia bellezza come la prefettura di Iwate, questa bevanda millenaria assume tante sfumature e tanti gusti diversi, dal secco al dolce e dal profumato al neutro, in modo da supportare degnamente le creazioni degli chef più esigenti.  E quindi, se la scelta della vacanza esotica non è ancora avvenuta, il pesce, i frutti di mare, il riso e il sakè di Iwate possono servire a orientare gli indecisi, grazie a una serie di eccellenze destinate a far colpo anche su quei gastrosciovinisti di italiani.

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