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Caipirinha: Brasile ardente a ritmo di samba

Caipirinha: Brasile ardente a ritmo di samba

Nella terra della bandiera verde-oro, il pappagallo disneyano José Carioca, inguaribile e squattrinato dongiovanni ideato dalla stessa fantasia di Walt Disney, presentandosi a Paperino sulle note di Aquarela do Brazil, popolare canzone brasiliana, svela i principali segreti della sua terra: la Samba e la Cachaça.

Il cartoon a cui faccio riferimento è datato addirittura 1942 e, oggi come allora, proprio come il pennuto brasiliano José, non possiamo parlare di uno dei cocktail più popolari al mondo come la Caipirinha, senza partire dal distillato a cui deve l’anima, la Cachaça appunto.

Cristo RedentoreBevanda alcolica simbolo del paese, emblema e orgoglio della terra da cui nasce, è legata all’immaginario collettivo al pari del futebol e della “Ragazza di Ipanema”, del Carnevale di Rio e della Samba, della Capoeira o del Cristo Redentore.

La pronuncia esatta, Ka-shah-sa, rende più morbido e dolce al suono, quello che in bocca invece proprio non lo è… .

La sua storia d’altronde, lunga più di cinque secoli, si mescola e si confonde con la storia stessa del suo paese d’origine, il Brasile appunto, e si lega a doppio filo da sempre, con quella del suo popolo tanto da esserne parte integrante della quotidianità, delle abitudini, dello stile di vita e soprattutto della cultura.

Al pari del Rum per i cubani, dello Scotch per gli scozzesi, del Tequila per i messicani e della Vodka per i russi; la Cachaça è la bevanda alcolica popolare brasiliana per eccellenza, insignita del titolo di “Prodotto culturale rappresentativo del popolo brasiliano”.

Si ottiene dalla distillazione a freddo del vesu, il succo concentrato e fermentato estratto dalla canna da zucchero, ma, pur trattandosi tecnicamente di un rum, la sostanziale e marcata differenza organolettica del prodotto finale, fa si che non si possa definire tale.

Cristallina e incolore nell’aspetto, all’olfatto evidenzia note erbacee e fruttate, in bocca invece, da prodotto ruvido qual é, è nervosa e se ne va lasciando ricordi di frutta matura.

Il nome nasce dal termine cagassa o cachaza con cui si identificava la schiuma che si formava in superficie nel succo della canna da zucchero durante la spremitura.

Già nel XVI secolo, negli zuccherifici di canna, quel poco che rimaneva della produzione di zucchero era dato ai contadini e agli schiavi, nativi o africani, che, col tempo, e in largo anticipo sulla nascita del rum nei Caraibi, cominciarono ad applicare quelle tecniche di distillazione apprese dagli emigrati europei su quello scarto delle lavorazioni, un residuo fermentato di melassa esausta, ottenendo così una bibita dall’elevato tenore alcolico.

CachacaQuesta mediocre bevanda, che chiamarono appunto Cachaça, veniva usata, più che altro, come rimedio medicamentoso in aggiunta ad altri ingredienti poveri come aglio o miele, per curare mali quali l’influenza, il raffreddore o il mal di gola.

L’alcol inoltre, riusciva a mascherare la fatica delle dure e inumane giornate lavorative nei campi.

Quando poi, proprio come energetico, i lavoratori presero ad aggiungere Cachaça ai succhi naturali di frutta fresca di cui disponevano come rancio giornaliero, nacquero quelle distinte miscele battezzate Batidos, unioni più o meno felici ma fondamentali, come poi vedremo, per la nascita di diversi drink dei giorni nostri, come, neanche a dirlo, la Caipirinha.

La Cachaça rimaneva, comunque sia, pur sempre la bevanda dei nativi, quei nativi che cercavano continuamente con maggior foga la propria identità sociale. E da lì, ad identificarla come bevanda nazionale dei Caipira, cioè, quasi in termini dispregiativi, dei contadini e degli schiavi o, più elegantemente, degli uomini semplici della terra, il passo fu breve.

Divenuta simbolo, in quelle fasce più povere della popolazione, del patriottismo e del sentimento nazionale, nonché degli ideali di libertà tra gli stessi schiavi, la Cachaça percorse idealmente i cuori e materialmente i palati, della gente comune e della popolazione contadina durante il periodo che precedette la rivolta, divenendo emblema sia della lotta che della resistenza alla dominazione portoghese e, di conseguenza infine, della sospirata libertà e dell’indipendenza datata 1822.

Con il successivo miglioramento delle tecniche di produzione, la Cachaça si innalzò di rango fino a raggiungere i fastosi pranzi delle residenze nobiliari.

cachaca-brasileiraQuando infine, all’alba degli anni ’20 del ‘900, il Brasile si ritrovò immerso in quel periodo di cambiamento culturale, letterario e artistico denominato “modernismo”, che accese la miccia al sentimento di rivalsa, fin lì ben camuffato, dello spirito nazionalista sui pregiudizi dei vecchi coloni portoghesi, bere Cachaça divenne segno e sinonimo vero e proprio, di patriottismo.

E, proprio come in una grande famiglia, ognuno aveva, e ha tutt’oggi, il suo personale modo di chiamarla, tant’è che se ne contano, in tutto il Brasile, oltre 200.

Acqua Santa, Acqua che brucia, Acqua che il passero non beve, Mia consolazione, Medicina, Sette virtù, Sudore d’alambicco, Cappotto del povero, Morso del cobra.

Oppure, continuando in lingua originale, Bafo de tigre, Apaga tristeza, Cura tudo, Acalma nervo, Lamparina, Pau no burro, o più semplicemente Pinga o Pinguinha, forse il soprannome vecchio quasi quanto il distillato; certamente, il più comune.

Pinga nasceva infatti in epoca coloniale da Pingar, cioè sgocciolare; proprio come faceva, dal soffitto, la condensa dovuta ai fumi dell’alcol che evaporava dai distillatori e inevitabilmente gocciolava giù.

In quei primi decenni del ‘900 dunque, quel nuovo secolo arrivato col vento del progresso e segnato da così profondi cambiamenti, al sud del paese, nei bar e nelle più aristocratiche sale da tè di San Paolo e Rio de Janeiro, cominciarono a comparire i primi drink a base Cachaça che si rifacevano alle primitive Batidos.

Miscelate al ghiaccio che gli apparecchi refrigeranti appena comparsi, avevano velocemente messo alla portata di tutti, con i loro gusti al sapore di frutta naturale divenuti inoltre rinfrescanti, incontravano un gradimento quasi unanime.

CaipirinhaQuella che indubbiamente, per distacco, prevaleva come preferenze su tutte le altre, era la Batida de Limao, un pestato di lime e zucchero di canna annaffiato da Cachaça e refrigerato dal ghiaccio, dolce e pungente al tempo stesso, che per tutti, in onore del distillato che la componeva e della sua umile storia, era diventata semplicemente una Caipirinha, cioè “sempliciotta”, o, più in generale, “bevanda dell’uomo di animo semplice”, evoluzione assai più raffinata di “bevanda del contadino”.

Negli anni ’50 il drink è ormai canonizzato, servito e bevuto in tutto il paese. E da lì, pochi decenni più tardi, soprattutto grazie alle grandi migrazioni di natura turistica degli anni ’80, si apprestava a beare del suo suadente profumo e dell’inconfondibile gusto nazionale, anche i palati del resto del mondo.

Giunti nel 2003, la Caipirinha diviene ufficialmente addirittura brasiliana per legge.

Il governo Lula infatti, per iniziativa dello stesso Presidente, sancisce e certifica con decreto governativo ufficiale, il numero 4851/2003, che, tra le altre cose “…la Caipirinha è una bevanda tipica brasiliana, con gradazione alcolica compresa da 15 a 36 gradi in volume, ottenuta esclusivamente da – e qui usiamo la lingua originale – Açùcar, Limao e Cachaça (zucchero, lime e Cachaça)”.

Su questa spinta, un anno più tardi, nel 2004, la Caipirinha entra a far parte dei cocktail ufficiali I.B.A. e così riconosciuta e codificata ufficialmente a livello mondiale.

Semplice. Accattivante. Traditrice. Per quanto mi riguarda invece, è con questi tre aggettivi che dai tempi in cui, in Brasile, me ne innamorai perdutamente, amo maggiormente descriverla.

Semplice da preparare. Accattivante nell’aspetto, dai colori che ricordano il verde-oro della bandiera nazionale. Traditrice nel gusto. L’importante gradazione alcolica infatti, si camuffa molto bene.

Sta di fatto che, il successo della Caipirinha, si deve soprattutto all’utilizzo di ingredienti che si completano tra loro in un formidabile equilibrio e in assoluta armonia.

Ed è bello pensare che, nello stesso bicchiere insieme a quei quattro elementi, Cachaça, lime, zucchero di canna e ghiaccio, sia mescolata, oltre a quella dell’alcol, tutta la forza di secoli di storia, di cultura e di patriottismo che ha unito il grande popolo brasiliano. “La nostra legittima Caipirinha!” come amano inorgoglirsi i brasiliani alzando i bicchieri a mo’ di brindisi.

Oppure, per dirla in maniera più “sempliciotta”, “Se a vida lhe der um limao, faça dele uma Caipirinha!” (Se la vita ti dà un lime, fanne una Caipirinha!).

Saùde!

 

caipirinha-classique“CAIPIRINHA”, Ricetta e Preparazione – Varianti

Ingredienti:
5 cl Cachaça
Mezzo lime diviso in 4 parti
Due cucchiaini da tè di zucchero di canna bianco

Preparazione: Mettere i 4 spicchi di lime e lo zucchero di canna bianco in un bicchiere old fashioned e pestare con un pestello (muddler). Aggiungere abbondante ghiaccio e completare con la Cachaça. Infine mescolare delicatamente dal basso verso l’alto con un bar spoon (cucchiaio da bar a manico lungo) e servire con cannucce corte.

Piccolo consiglio: Una volta spaccato il lime bisognerebbe avere la premura di togliere la parte bianca che compone il filamento centrale del frutto perché amarognola; pestandola nel bicchiere, rovinerebbe il drink.

Note: L’uso dello zucchero grezzo di canna (quello marrone), purtroppo comunemente utilizzato qui Italia per la preparazione della ricetta, in Brasile è visto come un vero e proprio sacrilegio e quindi assolutamente da evitare soprattutto perché stravolge il gusto finale del cocktail.

Lì difatti, ma più in generale in tutti i paesi di quelle latitudini, lo zucchero di canna è candido come la neve e raffinatissimo. L’equivoco purtroppo, come già scritto quando si è parlato del Mojito, nasce dal fatto che in Europa, in generale, lo zucchero di canna è conosciuto quasi esclusivamente allo stato grezzo e trovandolo tra gli ingredienti presenti nel drink si pensò fosse quello. Così proprio non è!

L’altro grossolano errore che si commette qui da noi è di preparare la Caipirinha con ghiaccio tritato; così facendo però, si favorisce una più rapida diluizione dello stesso elemento e, di conseguenza, un drink piuttosto “annacquato”. Il ghiaccio non andrebbe mai tritato.

Il pestello, nel linguaggio del barman denominato muddler, dovrebbe essere adoperato per far uscire il succo dal lime, oltre che per pressione, con piccoli movimenti rotatori, cercando di schiacciare piuttosto la polpa che la scorsa.

La Caipirinha non và agitata ne tantomeno shakerata! A mescolarla delicatamente di tanto in tanto con l’aiuto delle cannucce, favorendo così il graduale scioglimento dello zucchero, penserà la persona a cui viene servita. (Anche questo fa parte del rituale di chi beve Caipiriha!).

Varianti: Esistono oggi in Brasile centinaia di deliziose versioni della Caipirinha che, oltre che nei bar, viene servita comunemente anche in qualsiasi ristorante.

Soprattutto nei locali di Rio e Salvador non è raro vederla preparare nel frullatore. Si mettono nella campana gli spicchi di lime buccia compresa con zucchero di canna bianco, Cachaça ed abbondante ghiaccio; rapido ed intenso vorticar di pale finché il tutto non diventa una sorta di granita verde pallido. Una volta nel bicchiere si aggiunge un ultimo rabbocco di Cachaça per dar corpo ad una freddissima ed esplosiva bomba.

CaipiritalyNegli anni ’50, le aziende del Rum Bacardi e della Vodka Smirnoff, ingolosite dell’immenso potenziale del bacino di mercato a cui potevano attingere, sbarcarono in Brasile e addirittura depositarono ufficialmente i marchi e registrarono i nomi di due nuovi cocktail: la Caipirissima (dove il Rum Bacardi sostituiva la Cachaça) e la Caipiroska (dove la Vodka Smirnoff sostituiva la Cachaça).

Queste due versioni tuttavia non presero mai il posto, sia nei bicchieri che tantomeno nei cuori dei brasiliani, della versione originale della Caipirinha che, come abbiamo visto, addirittura per legge, è composta esclusivamente da Cachaça, ma rimangono, anche qui i Italia, abbastanza diffuse.

Sulla scia della Caipiroska inoltre, pian piano, si sono affermate versioni a base di frutta fresca che prendono il nome del frutto con cui sono preparate (Caipiroska alla fragola, al melone, alla pesca…).

Per la preparazione basta pestare il tipo di frutta fresca che si è deciso di utilizzare con uno o due spicchi di lime e zucchero di canna bianco e, di seguito, aggiungere ghiaccio e vodka per poi maneggiare come nella versione originale del drink.

Da italiano invece, mi piace ricordare la versione di casa nostra, la Caipiritaly, dove, seguendo sempre la stessa preparazione dell’originale, il Bitter Campari, liquore milanese, prende il posto dell’esotica Cachaça.

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