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Clara & Tiny: il cocktail al femminile

Clara & Tiny: il cocktail al femminile

“Tiny” significa minuscolo, e con le dimensioni ci siamo, o quasi: a Milano abbiamo visto cocktail bar ben più piccoli, quasi “buchiformi”, perdonate il neologismo. Qui dentro invece 15-20 persone (in periodi non Covid!) ci possono stare, e nel dehors annesso più o meno altrettante. Luci attenuate, arredi oscuri, jazz o blues in sottofondo, gli elementi per una serata milanese ci sono tutti, e tra questi la zona medio-borghese e residenziale, attaccata a piazza Firenze: via Piero della Francesca, fuori dal grande flusso di turisti, cacciatori di aperitivi e gioventù sfrenata, ma con una sua identità e dignità ben distinguibile. La titolare e giovane imprenditrice Clara Manfredonia non è cresciuta fra i bartender, ma proviene da una famiglia di avvocati: a un certo punto lascia perdere la giurisprudenza, fa esperienza in cucina e circa due anni fa apre “Tiny”, poco prima del lockdown iniziale. Mai vissuto, insomma, un periodo di vera tranquillità.

“Neanche l’inaugurazione abbiamo potuto fare”, ricorda Clara. “In queste condizioni, è difficile valutare le potenzialità effettive di un locale come il ‘Tiny’. Dove si apre alle 18,00 per l’aperitivo-apericena e si va avanti fino a mezzanotte (all’una nel fine settimana): rispetto ad altri posti similari, in più abbiamo una piccola cucina, per evitare di accompagnare i cocktail, la birra, i distillati con pizzette, patatine in busta e olive. Per chi lo voglia, la nostra proposta include finger food, tapas sfiziose come Polpo alla plancia e Baccalà mantecato, primi come Crema di zucca e Medaglione di riso al salto, e non mancano Hamburger, Tartare di manzo e Veggie burger. Tengo a sottolineare che cerchiamo di preparare ‘in casa’ quel che è possibile: a cominciare dall’hamburger, ma vale anche per i panini, come il bao nero al vapore in degustazione stasera. I clienti, ho notato, apprezzano molto questo sforzo.”

Che tipo di clientela si avvicina ai vostri cocktail?
“Molti vengono qui per l’aperitivo o il dopocena, e tra questi molti frequentatori dei tanti ristoranti che si trovano nel quartiere. Ce ne sono di quelli che entrano con le idee ben chiare, guardano la drink list e decidono velocemente; gli altri, che vediamo un po’ incerti, magari hanno bisogno di spiegazioni e consigli, e noi siamo qui per questo. Ovviamente, ci tocca ovviamente saper interpretare i gusti altrui, capire se è meglio orientarsi sul dolce o sul fruttato, sul secco o sull’amaro. Oltre ai grandi classici che conoscono più o meno tutti abbiamo le nostre reinterpretazioni, i signature cocktail: ad esempio un “nostro” Negroni, il che vuol dire che ci va dentro il nostro bitter e il nostro vermouth, un secret mix che serve proprio a personalizzare l’esperienza. Lo stesso dicasi per lo Champagne Cristal mojito, con rum bianco, zucchero di cocco, lime, menta fresca e champagne.”

Il cosiddetto “Old but good aged Manhattan” (bourbon-ferro china- rabarbaro-Branca menta) che ci è arrivato era ovviamente tra queste reinterpretazioni, e francamente aveva un po’ perso le reminiscenze di quel solito Manhattan che ti servono ovunque; meglio così, però, perché non c’è altra maniera per fare nascere nuovi classici e interpretazioni degne di entrare nella storia.
Anche se sapientemente guidati da Clara Manfredonia, tra primi piatti, tapas, cocktail datati ma nuovi, dobbiamo ammettere che abbiamo perso un po’ il filo del discorso del classico cocktail bar alla milanese. Tuttavia, non si tratta di vero smarrimento, piuttosto di un punto interrogativo che funziona come un sapore persistente in bocca: perché a fine serata si capisce di essere entrati per un cocktail più stuzzichino, e di essere usciti con un’esperienza che è più completa di un semplice drink al bancone.

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