Tu sei qui

La storia della coltivazione della vite nel territorio del Piave dalla vite maritata alla bellussera (seconda parte)

La storia della coltivazione della vite nel territorio del Piave dalla vite maritata alla bellussera (seconda parte)

(segue dalla prima parte…Quasi ovunque in Veneto il mutamento del paesaggio, dalle antiche alberate e piantate verso forme più moderne di allevamento, fu lento ed iniziò solo sul finire dell’800 grazie ad un sistema di impianto ideato dai fratelli Bellussi, nel piccolo comune di Tezze di Piave in provincia di Treviso, che portò con sé una serie di vantaggi contribuendo alla sua diffusione anche oltre l’area del Piave: la Bellussera.

Cambiò l’andamento della vite razionalizzandone la coltura, ma le esigenze di sopravvivenza della popolazione restarono in auge fino al secondo dopoguerra utilizzando la necessaria coltura promiscua. Scrive Gianni Moriani ”trattasi di una ingegnosa soluzione che si mostra agli occhi sorprendentemente preziosa, come un pizzo realizzato con il famoso punto in aria, specialità di certe merlettaie del nostro estuario. Entro in questa verde “chiesa”, attraverso una porta sempre aperta, in una luminosa giornata, mossa da uno zefiro che fa dondolare le foglie: la scena richiama alla mente l’arte cinetica delle installazioni create da Alexander Calder. Credo che i fratelli Antonio e Matteo Bellussi, geniali realizzatori di questo originalissimo sistema di allevamento viticolo, partendo da un’idea del padre Donato, vadano a pieno titolo iscritti tra gli anticipatori dell’arte cinetica. Come le più ardite opere architettoniche, anche la Bellussera si regge su ferrei principi geometrici. Da ogni sostegno i tralci si dipartono a raggiera, per catturare più raggi di sole possibile. Si può dire che tolti i tutori, tutto sia appeso alle leggerezza di un filo”.

Questa forma di allevamento è caratterizzata da quattro o sei viti, inizialmente sostenute da un tutore vivo, poi sostituito con palo secco, ciascuna delle quali ha un lungo cordone permanente di tre o quattro metri potato a Sylvoz, inclinato verso l ‘alto e portato nell’interfilare e, nel caso di impianto a sei viti, anche lungo le fila, sicché il vigneto appare dall’alto come una raggiera. Una sorta di pergola per la quale i tralci vengono obbligati lungo fili di ferro, in coppia detta raggio, tesi tra un filare e l’altro a formare una sorta di raggiera quadrangolare, a un’altezza di circa 3 metri dal suolo e distanti dal filare per circa un metro. Non ci sono più lunghi capi a frutto, ma un tralcio con 5-6 capi molto più corti con poche gemme che vengono piegati verso il basso. La forma che veniva data alla vite era ampia, espansa, alta da terra e produttiva. Essa permetteva infatti di ottenere un raccolto più sano, più ricco -quasi 30 ettolitri per ettaro- d’incontrare l’esigenza del vitigno storico del Piave per il quale fu ideata, il Raboso Piave, di utilizzare l’abbondante manodopera familiare dei tempi e di continuare a usare il sostegno vivo dell’albero traendone i benefici ad esso connesso.

Ci guadagna anche la qualità grazie al passaggio da una potatura lunga ad una più corta, “grappoli piccoli e numerosi, chicchi più piccoli e succo più concentrato e matura con buccia più grossa e colorata, per cui si ha un vino scelto, riunente in sé al massimo grado i caratteri che ne fanno un vino da mezzo taglio”. La notevole altezza permetteva di mantenere la vegetazione e la produzione molto lontana dal suolo limitando i danni dovuti alle brinate primaverili e riducendo gli effetti delle nebbie autunnali, più che negative, per una varietà molto tardiva.

La Bellussera è stata parte del paesaggio viticolo delle terre del fiume Piave dal ‘900 fino ai giorni nostri restando visibile ancora oggi in qualche rado vigneto nella zona di confine tra l’alta e la bassa pianura del Piave. Ampia, inconfondibile, d’ingegnosa geometria che ne fa un segno non solo di umano ingegno e scienza agronomica, ma anche un esempio di viticoltura realmente sostenibile.

Di contro tale sistema recava qualche danno alle colture consociate, che non spariscono ma si limitano al foraggio, una spesa elevata dell’impianto e della manodopera -400 ore mensili rispetto alle 180/190 della tradizione spalliera- minore durata della vita della pianta e maggiore esposizione alla grandine.

Oggi la Bellussera è ancora presente, quale segno di un orgoglioso passato vitivinicolo, ma le nuove realtà produttive stanno introducendo sempre più sistemi di allevamento alternativi maggiormente meccanizzabili ed economicamente più competitivi, ma in nessun caso si riuscirà a trovare analogo esempio di viticoltura sostenibile integrata perfettamente con l’attività agricola che sia in grado di soddisfare le esigenze dell’intera famiglia contadina.

Pia Martino
 

Leggi anche...

Lascia un commento

Pin It on Pinterest