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Marco Di Lorenzi: Chef a 360°

Marco Di Lorenzi: Chef a 360°

Eclettico, ingegnoso e competente in cucina come in gara, giovane (classe ’78) Marco di Lorenzi oggi è lo chef dell’”Alexander Museum Palace” di Pesaro. Dopo il diploma alberghiero approda al servizio dello Chef Fabio Ridolfi al ristorante “Lo Scudiero” di Pesaro iniziando così il suo percorso gastronomico.

All’età di venti anni frequenta uno stage presso il prestigioso Hotel di Milano “Four Season” dove conosce il suo secondo maestro Sergio Mei che gli trasferisce la sua filosofia in cucina: prima il gusto e poi l’estetica.

Dopo aver conquistato numerosi premi si piazza nel 2005 a Singapore sul gradino più alto del podio a Singapore con un panino speziato dal nome “Philosophy” e nello stesso anno entra a far parte del Team Italia dell’Associazione Professionale Cuochi Italiani partecipando a numerose competizioni a livello nazionale e internazionale vincendo nel 2006 il primo posto assoluto all’International Kremlin Culinary Cup di Mosca. Nello stesso anno diventa responsabile di cucina al “Diplomat Palace Hotel” di Rimini.

Nella sua cucina preferisce realizzare piatti leggeri a base di pesce e verdure piuttosto che di carne, senza rinunciare al gusto, anche se si dedica con tenacia e passione alla pasticceria, frequentando corsi e partecipando a competizioni culinarie, per avere una professionalità più ampia e completa possibile.

Lei ritiene che uno Chef d’Hotel possieda una formazione e professionalità molto ampia, a 360°, rispetto a chi ha lavorato sempre in un ristorante. Ci vuole spiegare perché?
Diciamo che un responsabile di cucina di un hotel è sottoposto a più tipologie di servizio, per cui è più completo: in un ristorante, anche se di buon livello, difficilmente troviamo coffee-break o room-service, il servizio di breakfast non c’è, per questi motivi noto delle differenze tra gli chef di ristorante e quelli di albergo.
 
E’ orgoglioso di rappresentare l’Italia insieme al Team dell’A.P.C.? Da chi è formato il Team Italia cui lei appartiene e in gara quali sono le prove in cui vi
cimentate?
E’ motivo di grande orgoglio rappresentare il proprio paese, ma anche di grande responsabilità. Il team Italia è la squadra ufficiale di Chef provenienti da tutte le regioni della penisola, i quali partecipano alle manifestazioni internazionali del settore culinario: essi solitamente sono abbastanza giovani e preparati anche a livello fisico, perché è necessario, sia essere degli ottimi cuochi, ma anche predisposti a trasferte e spostamenti in orari un po’ proibitivi: le competizioni di cucina e pasticceria sono delle vere “palestre” con i fornelli dove lo stress, la lucidità mentale e il cronometro delle varie sessioni sono i protagonisti.

Le prove sono svolte singolarmente o a squadre. Possono spaziare dalla preparazione di un dessert mono porzione in 30’ partendo da materie prime non lavorate a un piatto unico di pesce o di cucina regionale. E’ necessario saper cucinare mantenendo il sangue freddo e non emozionarsi per non perdere il controllo e rendere vano tutto il lavoro svolto precedentemente. Per presentare un piatto è fondamentale sia il gusto che l’estetica, senza tralasciare gli abbinamenti di colori, la composizione, le guarnizioni, che non devono essere troppo marcate, così come sul bordo del piatto non può essere collocato niente pena la decurtazione del punteggio da parte della giuria.

Sono regole rigide, cui i commissari non transigono e ognuno è valutato in base al proprio operato e non paragonato al lavoro degli altri concorrenti. E’ possibile avere solo medaglie d’argento e di bronzo perché la giuria non ritiene al top i lavori presentati.

Perché la pasticceria la attrae così tanto? E’ forse “goloso”?
Non sono particolarmente goloso di dolci. Mi attrae perché ho la possibilità di catturare la mia attenzione per conquistare i palati più esigenti; solitamente le donne si lasciano “coccolare” davanti ad un buon dessert e per questo motivo i corsi di pasticceria sono molto richiesti dal mercato.

Mentre la cucina è fantasia e creatività, la pasticceria è tecnica e conoscenza dei procedimenti e assemblamenti degli ingredienti. Non si può diventare responsabili di cucina senza saper almeno le nozioni di base della pasticceria. Tanti anni fa ero molto inesperto in pasticceria rispetto alla preparazione della cucina e questo mi affliggeva un po’.

Da allora mi sono impegnato per migliorare e negli ultimi anni ho anche vinto dei concorsi con dessert molto belli e gustosi come il Premio Chef d’Autore 2011 al Ristorante “Cracco” di Milano dove ho preparato la “Sinfonia al cioccolato” presente anche sul mio sito www.marcodilorenzi.it.

“Philosophy” è stato una delle sue più grandi soddisfazioni. Come le è venuta l’idea di crearlo per Singapore e come si prepara?
Nel contesto del concorso indotto da Bargiornale “Il panino dell’anno” con finale a Singapore nel 2005, ho presentato e vinto con “Philosophy”, panino al latte farcito con gamberi al curry e guanciale croccante, pomodoro e coriandolo fresco. Singapore mi ha conquistato per odori, colori, fiori bellissimi, persone molto gentili, tanto educate e rispettose dell’ospite.

Mi piace la filosofia orientale anche riproposta in cucina, con spezie, poco sale ma condimenti saporiti come soia, zenzero, verdure o condimenti saporiti come il miso. Quando ci si cimenta in un concorso di cucina, la prima cosa da fare è leggere attentamente il regolamento. E’ molto importante sapere cosa non occorre fare per non essere penalizzati e in quell’occasione, il mio intento era quello di sorprendere la giuria con ingredienti made in Italy, ma conferendogli un’influenza orientale. E’ nato questo panino molto buono, dai sapori straordinari, profumi orientali di pepe, i gamberi insaporiti con curry ed avvolti nel guanciale, esaltati dalla rosolatura senza grassi aggiunti.

Il suo errore professionale più grande qual è stato?
Non penso di aver commesso grandi errori; come tutti gli umani, nel lavoro quotidiano è possibile cadere in ingenuità o piccole sviste dovute da molteplici fattori come la stanchezza, il caldo, clienti con intolleranze o disguidi tra personale di sala e cucina. Ricordando bene un errore l’ho commesso: nel 2007 mi sono offerto come pasticcere nel Team Italia nelle gare di Mosca. Il titolare della squadra non era disponibile in quel periodo e io mi sono offerto volontario per ricoprire sia il suo ruolo che il mio di chef di cucina calda.

Non ho brillato, purtroppo, per molti fattori, uno su tutti la scarsa preparazione in qualità di pasticcere che avevo allora per concorsi internazionali e le faticose estati romagnole che hanno contribuito a un risultato mediocre. Da quella esperienza ne sono uscito con la volontà di migliorare la mia professionalità in pasticceria.

Che tipo di piatti di sua creazione preferisce e quali sono quelli cui non rinuncerebbe mai?
Non potrei rinunciare sicuramente ai piatti “dei ricordi” come la “Sinfonia al cioccolato”, il “Turbante di spigola” o al “Salmone marinato” che sono preparazioni con cui ho avuto delle forti emozioni; le eseguo da molti anni sempre con grande successo da parte di tutti i commensali. Quando non voglio sbagliare, per una cena di gala o ricevimento importante, utilizzo le ricette che conosco perfettamente, cui non potrei rinunciare e alle quali sono legato maggiormente.

Crede che nel suo settore ci sia crisi? E perché?
Negli ultimi mesi ho viaggiato molto in Italia – tra corsi, cooking-show, team building, docenze per scuole ed enti formazioni come Confcommercio. Credo che ci sia crisi d’intelligenza più che economica in quanto non sappiamo cogliere le occasioni. Mi spiego meglio. Il nostro paese è visitato da molti stranieri, ma ci siamo mai chiesti se riusciamo ad appagare i loro gusti, i loro palati ? Secondo me non sempre in maniera esauriente.

Siamo capaci di denigrare le richieste di russi e arabi, due popoli apparentemente strani ma che invece si rivelano molto accomodanti davanti a lasagne o tortellini in brodo bollenti e poi non hanno problemi a pagare il conto purché abbiano esaudito i loro “bizzarri” desideri come il cappuccino a fine pasto con il cocomero. Questo è un tipo di crisi. Poi c’è la crisi economica reale cioè quella che le aziende, seppur lavorando, faticano ad andare avanti per il peso fiscale che le affligge, per la proporzione tra entrate e uscite quasi arrivate alla parità.

Dopo noi chef, ci mettiamo del nostro: vorremmo inculcare ai clienti la filosofia dell’alta cucina e lucrarci sopra. Fortunatamente io non faccio parte di questa categoria e non la sostengo. Piano piano il mercato e la crisi, selezionano chi fa qualità a prezzi modesti da chi vuole sostenere le aziende con 3 coperti al giorno perché è un ristorante stellato, per cui si ritiene superiore a tutto. Per concludere, consiglio di rivedere la propria linea e servizi di cucina. Abbandoniamo spume e polveri, concentriamoci e promuoviamo più sostanza nel piatto.

Un’ultima domanda: dolce o salato? Se dovesse scegliere tra le due?
La mia è più una passione che un vero e proprio lavoro, per cui dico entrambi, per il ruolo che ricopro quotidianamente.

Se dovessi scegliere, personalmente preferisco il dolce, perché c’è sempre poco amore nella vita odierna e una mousse al pistacchio con salsa alle fragole regala un sorriso in più rispetto ad una focaccia farcita.

Ennio Baccianella

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