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“Andrea Basaglia”: Made in Italy ai fornelli bielorussi

“Andrea Basaglia”: Made in Italy ai fornelli bielorussi

Andrea Basaglia nasce a Isola della Scala (VR) nel 1971 e forse da bambino aveva già il sogno di viaggiare, visitare nuovi Paesi, conoscere gente di altre culture.

Lo ha fatto “alla grande” unendo i suoi sogni alla sua passione per la cucina. Ha un curriculum professionale di tutto rispetto, volto alla formazione del personale, alla ricerca del “brand” ideale nei prestigiosi ristoranti ove ha lavorato, ottenendo contratti professionali sempre più importanti.

Ha svolto la sua attività da Mosca nel 2004 a Bucarest nel 2006, al “Fusion Asia Europa” di San Pietroburgo nel 2008 dove rimane solo un anno per approdare poi a Minsk presso “Il Falcone”.

Lavora per “Costa Crociere” e porta il suo “Made in Italy” e la sua “Cucina d’Autore” in oltre 90 attività ristorative.

Attualmente è Brand Chef presso il club “Dosary” e “Mojito” di Minsk. La sua ampia cultura professionale e la sua esperienza gli hanno permesso di ricoprire la carica di Vice Presidente dell’Associazione Italiana Ristorazione.

Come è nata la sua passione per la cucina?

E’ nata in famiglia come spesso accade, ricordo i pranzi domenicali, si aveva poco e con quel poco iniziai a creare. Mio padre e mia madre sono ancor oggi ottimi cuochi e questo sinceramente mi ha molto aiutato. La mia intera carriera e’ dedicata a loro.

Prima di partire per i paesi dell’est Europa, quale è stata la sua formazione professionale?

L’ultima mia esperienza in Italia e’ stata fantastica, assieme allo Chef Mirio Durante, mio amico e mio mentore, all’Hotel “Le Torri del Garda” di Albisano che domina la parte Veronese del lago di Garda, catena Best Western. Ho passato con lui alcuni anni. La formazione professionale, le scuole alberghiere, sono importanti e ti danno le basi, ma la fortuna di avere uno chef “giusto” ti aiuta a prendere velocità, tutto il resto passa in secondo piano.

Alcuni Chef da noi intervistati hanno affermato che in Italia è difficile trovare ristoranti in cui lavorare in modo professionale e per questo svolgono la loro attività all’estero. Lei cosa ne pensa?

E’ difficile rispondere a questa domanda, in fondo credo sia una scelta personale. Certo le differenze sono tante; in Italia spesso si ha un titolare “fisico” che impone una linea professionale, giusta o sbagliata che sia. All’estero di solito il titolare non è una persona fisica ma un’azienda che delega un Direttore che ti chiede uno standard senza che gli importi nulla e in questo caso le responsabilità sono molte. Oggi lavoro in un club che conta 250 dipendenti e le mie decisioni, poiché la cucina è parte essenziale del “cassetto”, si ripercuotono su tutti. All’estero c’è più libertà di creare, di provare, sei sicuramente ritenuto importante. La cucina è il tuo regno e nemmeno il Direttore entra senza chiederti permesso. Puoi assumere o licenziare, cambiare menù, impostare le tue regole senza che qualcuno ti richiami, anzi te lo richiedono espressamente. Credo sinceramente sia meglio lavorare all’estero, ma hai più responsabilità, e queste responsabilità le sento tutti i giorni. Va aggiunto per chiarezza e in piena sincerità, che uno Chef che si rispetti vive anche di protagonismo. Qui sono conosciuto perchè riviste, video, studi televisivi e giornalisti ti fanno sentire quello che tu forse nemmeno immagini di essere. In Italia sei, purtroppo, uno fra tanti.

La sua cucina si ispira a uno stile in particolare?

Credevo di non avere uno stile mio, ma vari colleghi me l’hanno fatto notare. I colori sono importantissimi, non c’è una prima o una seconda regola, tutte sono importanti: “si mangia prima con gli occhi …” il gusto, gli ingredienti, il decoro, la creatività. Ho lavorato per alcuni anni anche con i fiori eduli; molti dei miei piatti sono semplicemente nati, alcuni ci ho lavorato anche per mesi, altri sono in cantiere. Non credo che uno Chef possa creare o rivisitare a comando, ci sono momenti più o meno favorevoli. Appenderò la casacca al chiodo appena mi sentirò senza questa voglia di mettermi in gioco, di provare e di scontrarmi con le delusioni o successi inattesi.

In cosa si differenziano sostanzialmente le richieste di un cliente italiano in Italia da quello che ordina un piatto all’estero?

Il cliente italiano cerca il classico fatto a regola d’Arte, il cliente straniero e in particolare quello Russo cerca il “Whoo” prende il suo telefonino di ultima generazione da 12mpx ti fotografa il piatto e lo posta immediatamente in qualche sito web. Il Cliente Italiano stai pur certo che é l’ultimo che arriva al ristorante, sia per abitudine sia per il fuso orario diverso, ti chiama e anche se hai 150 piatti in menù ti richiede il fuori menù. Il Russo non guarda il costo ma la novità, non sa cosa sia il fuori menù, l’Italiano non ti critica apertamente, il cliente straniero lo fa per cultura immediatamente. Il cliente Italiano ha orari per il pranzo e la cena, lo straniero ti può arrivare alle 10 di mattina o alle 4 del pomeriggio o alle 3 di notte e mangiare tranquillamente una carbonara. Mi fermo qui ma potrei continuare a scrivere un libro.

Ci indichi almeno tre caratteristiche indispensabili che un buon Chef deve possedere.

Esperienza, Creatività e Brigata. Ricordiamoci che dietro a qualsiasi Chef famoso o no che sia, c’è sempre uno o più Sous Chef e Cuochi quelli che spadellano e ti seguono. Ricordo l’ultimo San Valentino di quest’anno. Mi aspettavo clienti ma non mi aspettavo mezza città; sono serate che vedi e capisci il valore e l’insegnamento che tanto ti sei prodigato a dare, i cuochi si mettono a testa bassa, fanno il loro lavoro e se possono aiutano gli altri, tutto funziona al massimo e si riesce assieme a fare il servizio. L’esperienza la fa da padrona, ti aiuta, non ti fa perder tempo, ti consiglia. La creatività ti porta in alto, non conta che sia in quantità industriale ma di qualità, si parla di te perché tu hai fatto e non perché gli sei simpatico.

Molti sono i giovani che vogliono diventare Chef importanti. Che consigli si sente di dare loro e soprattutto, Italia o Estero?

Fare lo Chef è un cocktail di ingredienti. Dieci anni fa un cuoco usciva dall’Italia e poteva vendersi per Executive Chef, oggi non è più così. Le aziende e i clienti sanno cosa vogliono e come lo vogliono. Ci sono Chef oggi che arrivano, fanno la classica degustazione richiesta e ritornano lo stesso giorno a casa- Gli Chef inventati hanno le gambe corte, viceversa se sai di poterlo diventare è l’estero che ti offre più possibilità, come ho già detto più volte, per fare il salto da Sous Chef a Executive Chef. Serve principalmente che lo vuoi, serve che tu abbia avuto uno chef che ti abbia insegnato e trasmesso un certo sistema, ma anche saper gestire il personale, insegnare, curare la sanità, capire di prodotti, conoscere le tecniche di cottura, i tempi, saper redigere una carta tecnologica, essere in grado di fare attestazioni: il menu viene dopo e non prima a tutto questo. Bisogna comunque tenere conto che anche il nostro mondo sta cambiando velocemente. Ad esempio oggi è richiesto lo Chef immagine, quello che sta in sala, prende gli ordini, fa marketing fisico ci mette la faccia. L’aspetto, la voglia e la realtà di divenire il “Direttore d’Orchestra in Cucina” deve sposarsi e non scontrarsi con tutto questo.

Apra un “virtuale” cassetto della sua memoria… quel è il ricordo più bello della sua carriera?

Sono tanti. Cene con ministri e premier, galà o eventi per stilisti noti, persone dello spettacolo che ti vogliono conoscere, Joe Cocker, Sting, Ornella Muti, Kusturica… . Ma la più bella serata di lavoro, non ho dubbi, è stata dedicata a una bambina bielorussa che aveva bisogno di operarsi; accompagnato e assistito tutta la serata da una showgirl televisiva, mi sono messo in sala a fare flambé a comando, ero “all’asta”, è stato tutto meraviglioso, in particolare il ritorno a casa… mi sono sentito bene… intimamente utile.

Ne apra un altro e tiri fuori il suo sogno che ancora non ha realizzato… ce lo vuole descrivere?

Veramente posso? Ho un sogno nel cassetto: la certificazione del curriculum degli chef. Un documento che uniformi l’esposizione delle competenze, magari dotato di “Q-code” per mostrare all’opera i colleghi. Esistono poi altri progetti che vorrei sostenere, e li sto coltivando assieme all’Associazione Italiana Ristorazione, di cui sono orgoglioso di far parte, perché si occupa di assistere gli chef. In particolare il Presidente avvocato Roberto Bianco, sostenuto e supportato da sponsor di livello e dal alcuni ministeri, sta creando con il mio aiuto un percorso formativo per detenuti appassionati di cucina che vogliano crearsi un mestiere dopo il carcere. Poi abbiamo corsi per stranieri di educazione al prodotto alimentare “Made in Italy”, quello vero, raccolto e cucinato sul nostro territorio. Molti stranieri gustandone i sapori, frequentano poi corsi di specializzazione nel settore agroalimentare, divenendo cuochi, panificatori, pasticceri ecc… . Si inizia quasi scherzando e si finisce per amare un lavoro che diventa una scelta di vita…Culinary Saluti a Tutti e Buon Bollito

Ennio Baccianella

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